Daniele Rocchi

“Il concetto di nemico è un inganno planetario, che, pur nelle diverse culture, s’insedia nella vita delle persone togliendo la fiducia nelle relazioni”. È necessario, dunque, “rovesciare il conflitto in sorgente di sviluppo umano e permettere un balzo in avanti nella pratica dei diritti umani, che non sono ancora pienamente attuati proprio a causa delle guerre e della logica del nemico che le produce”. È quanto si legge nell’appello che i giovani di Rondine Cittadella della Pace lanceranno il prossimo 10 dicembre ai 193 Stati membri alle Nazioni Unite in occasione delle celebrazioni del 70° Anniversario dei Diritti dell’Uomo. Alla comunità internazionale i giovani di Rondine chiederanno, tra le altre cose, di sostenere la formazione di nuovi leader globali di pace e la diffusione dell’educazione ai diritti umani nei sistemi di istruzione nazionale. All’appello, al centro della campagna globale Leaders for Peace, ha già aderito Papa Francesco che, lo scorso 3 dicembre, ha ricevuto in udienza 150, tra studenti, amici e sostenitori di Rondine, guidati da Franco Vaccari, presidente di Rondine Cittadella della Pace.

Papa Francesco con Franco Vaccari (Foto Vatican Media/SIR)

“La vostra voce – debole, ma forte della speranza e del coraggio della giovinezza – possa essere ascoltata il prossimo 10 dicembre alle Nazioni Unite” ha detto il Pontefice ai giovani presenti. “Servono leader con una nuova mentalità. Non sono leader di pace quei politici che non sanno dialogare e confrontarsi: un leader che non si sforza di andare incontro al ‘nemico’, di sedersi con lui a tavola come fate voi, non può condurre il proprio popolo verso la pace. Per far questo occorre umiltà, non arroganza: san Francesco vi aiuti a seguire questa strada, con coraggio. Spero che i vostri leader vengano a Rondine, e vedano come i loro giovani preparano la pace”. Alla vigilia della partenza della delegazione di Rondine per New York, il Sir ha incontrato il presidente Vaccari con il quale ha fatto il punto di 20 anni di storia di Rondine.

Come potrebbe riassumere questi primi 20 anni di Rondine?
È stato un ventennio di esperienze, di storie, di concretezza sorprendente perché abbiamo visto, in modo non casuale, che il nemico non era tale. Questa è l’epoca in cui 2 miliardi di giovani possono fare il salto qualitativo che da 20 anni fanno i loro coetanei a Rondine. Qui imparano a diventare protagonisti del cambiamento di questo tempo. La sfida resta la stessa: rimuovere la cultura del nemico per togliere acqua alla guerra.

Perché, secondo lei, l’uomo non riesce ad affrancarsi dalla guerra?

Siamo tutti portatori sani di violenza.

Poi ci sono quelli malati e quando due portatori malati di violenza si incontrano ne viene fuori un’epidemia: la guerra, una forma organizzata di violenza che però si può eliminare.

E come?
Viviamo un inganno planetario che si chiama nemico e che infetta la base e i leader, blocca le menti, i cuori e le possibilità di crescita. Oggi il mondo è senza confini che sono un prodotto avvelenato di una fase dell’umanità oramai finita. Almeno per chi ha uno sguardo limpido. Un’umanità che si attarda a pensare ancora ai confini e a tutto ciò che li alimenta è al tramonto.

Chi pensa senza confini pensa senza il nemico

anche se la violenza è sempre alle porte. Non proponiamo una visione dolciastra e buonista, piuttosto una visione drammatica di alta responsabilità: questa è l’umanità di domani e i leader saranno questi.

Cosa pensa del buonismo?
È alleato del nemico. Fanno male entrambi perché si congiungono. Pensare un’umanità non drammatica, buonista, significa accantonare il conflitto che invece va vissuto come esperienza quotidiana. Se lo rimuovi ti ritorna costruito con il nemico. Se lo affronti e lo smonti diventa sviluppo. La vita è drammatica, inutile negarlo, e la devo affrontare. Se la nego prima o poi mi presenterà il conto. Se dialoghiamo riusciamo a capirci.

Perché allora non si riesce a dialogare?
Perché è faticoso. Anche questa è un’idea buonista. Basta dire dialogo e siamo a posto. Basta dire pace e siamo a posto. Ma non è così. Dialogare è un continuo esercizio di traduzione, per capirci dobbiamo tradurci. Siamo storie, universi, e mondi diversi.

Il metodo Rondine è un modo per tradurci?
Siamo convinti di si. Il nostro metodo promuove il dialogo tra ragazzi provenienti da zone in conflitto, un dialogo vero, profondo, praticato, quasi come un’arte che può mettere insieme i nemici. È la nostra esperienza di un ventennio. Abbiamo sperimentato praticamente il nostro metodo in Sierra Leone, attraverso il progetto Initiative for Democratic and Peaceful Elections, che ha puntato a favorire uno svolgimento pacifico delle elezioni presidenziali del 7 marzo scorso e in altri contesti di conflitto. Non è un caso che dopo 20 anni il mondo accademico (Università cattolica, Università di Padova e Siena, ndr.) è venuto a cercarci per studiare e rendere scientifico il nostro metodo. A Washington incontreremo anche altre università.

Il 10 dicembre parlerete alle Nazioni Unite: un riconoscimento anche politico del vostro operato. A New York porterete delle proposte concrete?
Mostreremo i passi possibili che aprono i sogni impossibili. I sogni si realizzano con i passi.

Qualcuno di questi passi?
Direttamente dall’appello: “formazione di nuovi leader globali di pace, in grado di intervenire nei principali contesti di conflitti armati del mondo per promuovere lo sviluppo di relazioni sociali, economiche e politiche pacificate; estendere a tutti gli Stati l’insegnamento e l’educazione ai diritti umani nei sistemi d’istruzione nazionali, integrandoli con le sperimentazioni del Metodo Rondine sulla trasformazione creativa dei conflitti; donare borse di studio per la formazione di nuovi leader globali spostando una cifra simbolica dal bilancio della Difesa degli Stati”.

Qualcuno negli anni ’60 cantava “mettete fiori nei vostri cannoni”. Oggi Rondine propone di sostituire i cannoni con borse di studio…
Certamente perché lo studio, la formazione, l’educazione sono le chiavi di volta di tutto. Il nostro metodo può essere applicato in tutte le scuole del mondo. Dobbiamo formare velocemente leader di pace. Da 20 anni, da Rondine, escono leader di pace. Ora vogliamo – grazie agli aiuti scientifici nazionali e internazionali – puntare ad una grande scuola di leader di pace (Leader for peace) globali che pensano senza confini. Una classe dirigente che si forma in maniera nuova. Questa è la prospettiva che ci siamo posti. I leader di oggi si sono formati con una cultura di 30 o 40 anni fa. Ma come sarà il mondo domani? Nessuno lo sa. Sappiamo una cosa:

i leader di pace saranno quelli che non cadranno nell’inganno del nemico e dei suoi sottoprodotti.

Chiedete il disarmo?
Non chiediamo il disarmo. Non è nella nostra storia e non è il nostro mestiere. Certamente non diciamo viva le armi. Vogliamo formare leader di pace togliendo le armi. È un lavoro progressivo che noi in questi 20 anni di Rondine vediamo con chiarezza.

Si tratta di un percorso lento ma non sempre la lentezza è negativa se in ballo vi sono la cultura e l’istruzione. Cosa vi aspettate dal 10 dicembre?
La lentezza aiuta a far crescere le relazioni. Non servono effetti speciali di breve durata e che ti riportano al buio. Per questo dico che l’evento alle Nazioni Unite non è un traguardo, ma un inizio di una nuova tappa del nostro cammino. La speranza è che venga apprezzato da sempre più Stati e società civili e compreso come un passo possibile.

In questi 20 anni cosa vi ha ispirato maggiormente nell’intraprendere questo cammino e cosa vi ha dissetato nei momenti più aridi e faticosi?
L’acqua di Camaldoli e di La Verna, intendo l’esperienza monastica di san Romualdo e quella francescana. San Francesco è stato il primo dei leader globali di pace. Non c’è nessuno più moderno di san Francesco. Francesco ha le stimmate e

le stimmate possono far nascere una civiltà,

perché contengono quel mistero del dolore e dell’amore, del conflitto del dramma della vita e dell’amore, ingredienti umani fondamentali mescolati in una persona unica.

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