Vincenzo Corrado

Bertrand, che cosa l’ha più colpita nell’enciclica Laudato si’? Vi ha trovato degli aspetti che hanno una particolare corrispondenza con la sua arte?
Ai miei occhi si tratta di un testo rivoluzionario. Sono molto pochi i capi di Stato e le guide spirituali che osano dire la verità in questo modo. Oggi ci vuole il coraggio di dire la verità e in questo libro il Papa lo fa molto bene. Tra le righe si può leggere che il capitalismo sta distruggendo la vita sulla terra, lo dice molto chiaramente, parla anche dell’incoscienza gioiosa di credere che i nostri piccoli gesti quotidiani possano essere sufficienti a proteggere la vita sulla terra. Le cifre attuali sull’ambiente sono pessime, quando parliamo di riscaldamento climatico gli ultimi dati delle Nazioni Unite ci dicono che alla fine del secolo la temperatura sulla Terra sarà da 3,5 a 5 gradi più elevata allorché negli ultimi accordi di Parigi si parlava di 1,5.

Oggi pochi Stati hanno rispettato gli impegni presi al momento della Cop di Parigi. Siamo in una specie di religione della crescita che sta distruggendo il pianeta e il Papa parla di cose che pochi ecologisti affrontano, come la dignità umana che sta dietro tutto ciò, parla dei problemi umani.

La copertina del volume

È veramente un testo che io trovo importante e ieri quando ero in Vaticano e vedevo quelle migliaia di persone cercare di entrare mi dicevo che se i grandi capi spirituali si mettono a parlare di ambiente, di ecologia, si può invertire la tendenza perché oggi gli uomini politici hanno solo una visione elettorale e, dunque, uno sguardo a breve termine. Ormai gli scienziati parlano della sesta estinzione sulla Terra, il che vuol dire la morte dei nostri nipoti e pronipoti. È qualcosa di molto pesante che non è facile affrontare nei programmi serali delle Tv.

Siamo in una sorta di malattia dell’informazione dove c’è molta difficoltà a vedere cosa è importante e cosa non lo è. Penso che in tutto questo il Papa può giocare un ruolo. Mi ha sorpreso vedere che in Francia, quando il libro è uscito, molte chiese mi hanno chiesto foto per fare delle esposizioni. Penso che ci siano delle risorse umane importanti tra tutti questi credenti, un settore dove gli ecologisti non hanno saputo lavorare a sufficienza.

Lei è ateo ma ha rivelato d’essere sempre stato attirato dai valori del cristianesimo. Cosa l’ha spinto a partecipare a questo progetto editoriale?
Oggi c’è bisogno di una rivoluzione ma non ci sarà una rivoluzione politica, non sarà nemmeno una rivoluzione scientifica perché nessuno è in grado di rimpiazzare i 95 milioni di barili di petrolio che consumiamo ogni giorno con dei pannelli solari o l’eolico anche se abbiamo bisogno di queste energie alternative. Oggi la parte di energia rinnovabile, se sottraiamo le dighe, è praticamente nulla. Bisogna sapere che una rivoluzione scientifica non sarebbe in grado di salvarci dal riscaldamento climatico e non sarà nemmeno una rivoluzione economica a farlo perché l’economia ha un solo bisogno: credere nelle crescita infinita. Ma la crescita illimitata non esiste in natura, è solo un’illusione che sta distruggendo il mondo.

C’è bisogno di una rivoluzione spirituale ed è su questo punto che mi ritrovo con il Papa. Penso ad una evoluzione interiore: non si riuscirà a cambiare il mondo se non cambieremo gli uomini. Anche se non sono credente, anche se non credo in Dio, penso che esiste il bene e il male ed oggi viviamo nella banalità del male.

La banalità del male ci circonda e per questo non ce ne accorgiamo più: sia che si tratti della sofferenza animale o del mio Paese, terzo venditore di armi al mondo e al tempo stesso il Paese dei diritti umani. Penso che questo Papa, verso il quale nutro grande ammirazione, può fare più di tutti i suoi predecessori. Credo alla scienza ma penso che tutte le nostre conoscenze scientifiche attuali si sbriciolano davanti alla nostra convinzione che l’uomo sia eterno e che troveremo comunque la soluzione. No, per il momento non abbiamo trovato una soluzione e l’unica via d’uscita è spirituale. È complicato certo: provengo da un Paese ricco, io posso cambiare ma il mio Paese no, può solo inquinare ancora di più. È una riflessione generosa e il Papa dice una parola formidabile: “Avere la coscienza amorosa del mondo”, “avere la coscienza amorosa della vita”. Credo nei valori cristiani che sono quelli della compassione, dell’empatia, dell’onestà, della morale, dell’etica, della gentilezza, della comprensione, mi sento cristiano senza credere in Dio.

illaggio nelle paludi del Sudd, vicino a Bor, Stato del Jonglei, Sudan del Sud (credit © Yann Arthus Bertrand)

Le immagini – si dice – hanno la capacità di trasmettere emozioni e informazioni uniche che le parole non riescono a suscitare ed esprimere. In questo caso, tuttavia, la simbiosi tra parole e immagine sembra perfetta…
L’immagine fa parte del nostro entourage quotidiano ma ancor più oggi perché l’immagine è soprattutto fotografica. Credo che la bellezza è attorno a noi ma non la vediamo più e forse il fotografo è colui che arriva ad estetizzarla al massimo ma non è la bellezza che salverà il mondo.

Credo alla bellezza dell’uomo.

Ho fatto un film dal titolo “Human”, che ho anche donato al Papa in dvd, dove si parla della bellezza interiore dell’uomo e delle nozioni del bene e del male, valori universali comprensibili a tutti. Ripeto quanto ho già detto: credo che solo ciò ci aiuterà a cambiare il mondo.

Ragazze che trasportano cibo e acqua nelle terre dei dogon vicino alla falesia di Bandiagara, Mali (credit © Yann Arthus Bertrand)

Esiste un filo che unisce le parole del Papa alle vostre fotografie: la passione per la Casa comune, per l’umanità. Una passione che celebra la bellezza, ma che denuncia la distruzione e le numerose ingiustizie…
Mi sembra che la domanda contenga già la risposta.

Osservando la situazione politica attuale (penso al vertice della Cop 24), si potrebbe dire che le vostre foto rappresentano un appello urgente. Che cosa vorrebbe dire alle nostre donne e uomini politici?
Sono ambasciatore di buona volontà sull’ambiente per le Nazioni Unite. Il mio lavoro sulla terra e sul cielo è iniziato per la prima Cop del 1992 ma sinceramente non credo più a queste grandi messe dove tutti arrivano in aereo e mangiano della carne facendo esattamente il contrario di quello che andrebbe fatto. Nell’accordo del Cop 21, l’ultimo accordo considerato il più importante, le parole energia fossile, carbone, petrolio non sono presenti nel testo finale altrimenti i Paesi produttori non avrebbero firmato.

C’è una ipocrisia diplomatica che circonda tutto ciò. Penso che i politici cercano di arrangiarsi con quello che hanno, ovvero con l’egoismo delle nazioni.

Nessun Paese al mondo vuol rimettere in discussione il petrolio, l’impiego, la crescita, religioni dalle quali non ci si può più separare. I politici possono parlarne tutto il tempo che vogliono ma se non sono seguiti dagli elettori non porta ad alcun risultato e si ritorna a questa sorta di ripiego su se stessi. Inoltre, questa volta, la conferenza è prevista in Polonia, dove il governo non crede affatto ai rischi del riscaldamento climatico, si tratta in effetti di un Paese che vive sull’energia del carbone, le statistiche dicono che 50mila persone muoiono ogni anno a causa dell’inquinamento dell’aria. Penso che oggi purtroppo la politica è impotente.

Se non abbiamo voglia di cambiare non saranno loro che cambieranno. Tocca a noi decidere.

Chiesa di San Giorgio (Bet Giorgis), Lalibela, Regione degli Amara, Etiopia (credit © Yann Arthus Bertrand)

In sostanza, le ritiene necessaria una forte conversione?
L’80% degli abitanti del mondo crede in Dio, è chiaro che l’impegno delle guide spirituali è decisivo. Devo riconoscere che oggi sono un ecologista un po’ smarrito: ho 72 anni e da quando ne avevo 20 mi appassiono per l’ecologia. Quando sono nato eravamo due miliardi, oggi siamo sette miliardi e settecento milioni, la demografia è uno dei problemi importanti che non siamo riusciti fermare, è il vero problema di cui nessuno parla. Bisognerebbe fare ancora più educazione nei Paesi in via di sviluppo per arrestare questa demografia che sta esaurendo le risorse del pianeta. Certo oggi il mondo va meglio: da una quarantina di anni a questa parte abbiamo guadagnato 20 anni nella speranza di vita, c’è molta meno mortalità infantile, più educazione, maggiore ricchezza e più comfort, basti pensare che cinquant’anni fa una persona su tre aveva fame, oggi solo cinque su nove. Tuttavia tutto questo ha un prezzo da pagare: la distruzione della vita che ci circonda.

Il fatto di avere molto viaggiato, incontrato gente, parlato con molte persone, incontrato molti scienziati, mi ha forgiato una inquietudine profonda sull’avvenire del mondo.

Abitazioni del popolo kuna, Isola di Robeson, arcipelago di San Blas, Panama (credit © Yann Arthus Bertrand)

Ogni nuova avventura ed ogni conversione iniziano a partire dallo sguardo. Ora, in riferimento alla Casa comune si potrebbe dire che non tutti gli sguardi sono simili. Esiste lo sguardo vigile e quello distratto. C’è lo sguardo globale capace di cogliere l’unità e la sguardo frammentato e ripiegato su se stesso. Questo termine – sguardo – appartiene al vocabolario di Bergoglio-Francesco. Inoltre, nella spiritualità ignaziana, la trasformazione dello sguardo è molto importante e il verbo “mirar” (guardare) è uno dei più presenti negli “Esercizi spirituali”, con una grande ricchezza di significati: osservare, discernere, contemplare e anche prendere cura… Per un fotografo che cosa è “lo sguardo”? Che tipo di impegno implica?
Cerco di avere uno sguardo pieno d’amore sul mondo, per riprendere le parole del Papa. Non mi prendo per un artista, nelle mie foto non ho un approccio artistico ma piuttosto da buon giornalista, tento si spiegare, faccio foto per gli altri. Ogni volta che faccio una foto o un film sento di avere sempre una parte di responsabilità. È vero che nel tempo si è forgiato in me questo sentimento. Quando si vendono milioni di libri si ha una responsabilità. I miei amici mi dicono che sono diventato triste, che non so più ridere, è vero che oggi ho una tendenza a prendere il mio lavoro con molta pesantezza. Non è molto leggero il tema di cui mi occupo. Non ho voglia di ridere o scherzare con l’avvenire del mondo.

Il mio lavoro ha uno sguardo di responsabilità.

Faccio questo lavoro come fotografo, ma poco importa la professione: giornalista, architetto, tassista o panettiere, chiunque può essere impegnato a cercare di cambiare il mondo a suo modo. Sovente mi rendo conto che ci sono persone attorno a me che nella loro vita hanno deciso di cambiare il mondo anche se non hanno molti mezzi; fanno il massimo anche se non vengono intervistati o scrivono articoli.

Voglio dire che non è ridicolo cercare di cambiare il mondo.

La sua tecnica fotografica aerea sembra quasi catturare il grido del pianeta. Che cosa riesce a cogliere in questo grido che sembra a volte muto?
Ho scoperto la fotografia aerea quando guadagnavo la mia vita come pilota di mongolfiere. Oggi abbiamo tutti sul nostro telefono delle foto aeree ma all’epoca questo genere non esisteva. La foto aerea ci permette di comprendere molte cose: come le persone vivono, se sono ricche o povere.

È un po’ volare come un uccello sul mondo, si ha uno sguardo che consente di aver della distanza, una visione d’insieme di fronte hai problemi che ci sono sulla terra.

Il successo della fotografia aerea viene da qui. Ora con i droni è divenuta una pratica più accessibile, comune, ma quando ho cominciato era una novità assoluta. Nonostante ciò continuo a volare e provo sempre entusiasmo anche se oggi i droni hanno sostituito gli elicotteri che emettevano troppo carbone. Lavorare con gli elicotteri non è la stessa cosa, è più difficile.

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