Gianni Borsa

Il cammino di Compostela, la via francigena, l’itinerario del patrimonio ebraico, quello di san Martino di Tours, i siti cluniacensi, le abbazie cistercensi, le strade degli ugonotti e dei valdesi, i luoghi di sant’Olav. Luoghi della storia e delle fedi religiose. Accanto ai quali troviamo le rotte dei vichinghi, l’itinerario del patrimonio del romanico, le ambientazioni napoleoniche, la rete dell’art nouveau, le città fortificate… I 33 Itinerari culturali del Consiglio d’Europa sono un progetto ultratrentennale che, per il suo valore, dovrebbe diventare materia scolastica in tutta Europa.

Forza generatrice. Tali itinerari percorrono infatti le radici, remote e recenti, dell’identità europea e “possono essere la base di una cittadinanza condivisa”. Quella cittadinanza comune che sembra eclissarsi nell’Europa di oggi, fra memoria trascurata e muri che tornano a dividere popoli e Stati. Se ne è parlato il 17 novembre a Strasburgo, grazie a una iniziativa della Missione permanente della Santa Sede presso il CdE nell’Anno europeo del patrimonio culturale proclamato dall’Ue dal tema – azzeccatissimo – “Dove il passato incontra il futuro”. È stato il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali europee), che ha svolto la relazione introduttiva, a dare il “la” alle riflessioni della giornata. Per il porporato, il patrimonio culturale europeo “è certamente espressione del passato, tuttavia di un passato che chiede di interloquire con il presente e che, soprattutto, è capace di generare il futuro”.

Lo spazio, il tempo. Nell’introdurre i lavori mons. Paolo Rudelli, Osservatore permanente della Santa Sede presso il CdE, ha affermato: “il processo di integrazione europea può trovare un luogo essenziale di realizzazione nel dialogo, nella sinfonia direi, tra le diverse culture che costituiscono l’identità dei nostri popoli”. Culture, dunque al plurale, per un’Europa plurale. Che fa della “unità nella diversità” il suo stesso motto. Stefano Dominioni, direttore dell’Istituto europeo degli Itinerari culturali, ha dal canto suo osservato:“Gli itinerari culturali non devono essere intesi esclusivamente come percorsi fisici, ma anche come viaggi attraverso lo spazio e il tempo, dimostrando che le culture di diverse regioni e popoli in Europa costituiscono un patrimonio condiviso”.

Le tracce e lo spirito. I numerosi interventi della giornata hanno portato, ciascuno a suo modo, un tassello al mosaico. Perché la cultura – si è detto -, che comprende vari significati, forme ed espressioni dell’umano (a partire dalla storia, passando per arte, architettura, letteratura, religione, pensiero filosofico, scienza…) è “il linguaggio, l’identità” stessa dell’Europa, una “coscienza di sé” che oggi latita e della quale si avverte la mancanza. Gli itinerari culturali rimandano al turismo, al viaggio, al pellegrinaggio, divenendo espressione dell’uscire dalla dimensione locale e da se stessi per andare incontro ad altro, agli altri. Uscire per conoscere, gustare, stimare, incontrare. Il contrario delle chiusure timorose – e dei nazionalismi – che attraversano il vecchio continente. Si ritrova qui anche la metafora del viaggio: l’Europa stessa è un percorso, un cammino entro la storia, che, senza mai rinnegare le proprie radici, si apre al domani. Un’Europa delle “cose”, dei luoghi, delle tracce, dei simboli, e ugualmente, l’Europa dello spirito, della trascendenza, delle fedi.

La tela dell’unità. Nel suo intervento al Consiglio d’Europa, il card. Bagnasco ha ribadito: “il turismo di massa rischia spesso di accostare opere d’arte come oggetti muti”, mentre “il patrimonio culturale è una realtà dinamica, che vuole parlare e possiede una vera capacità generativa. Ma per lasciarsi interpellare da ciò che si incontra, si deve essere disposti ad uscire da se stessi. In altre parole, si deve essere disposti a viaggiare autenticamente. Un percorso interiore, di cui il viaggio esteriore è segno e strumento”. Da questo punto di vista gli Itinerari culturali del Consiglio d’Europa “sono particolarmente preziosi. Essi attraversano tutto il continente come dei fili, mettendo in comunicazione luoghi apparentemente lontani tra di loro e assai diversi, uniti da cammini fisici o da percorsi ideali che hanno contribuito a plasmare la nostra identità e che per questo interpellano il nostro futuro. La tela composta dall’intreccio di tutti questi fili non è altro che la tela dell’unità europea, nella ricchezza della sua diversità”.

Costruire ponti. Mons. Julián Barrio Barrio, arcivescovo di Santiago de Compostela, ha spiegato: “Santiago è compresa in una tradizione millenaria attorno alla tomba dell’apostolo Giacomo. Questa città, come custode di uno dei tesori più preziosi del cristianesimo, è meta di pellegrini, luogo d’incontro di correnti spirituali, di tendenze culturali, economiche e sociali”. Il pellegrinaggio a Santiago (il primo itinerario riconosciuto dal CdE e forse ancora il più noto) secondo Moreno Báez“fu uno degli elementi forti che favorirono la comprensione reciproca di popoli europei tanto diversi, come i latini, i germani, i celti, gli anglosassoni e gli slavi. Il pellegrinaggio avvicinava, metteva in contatto e univa tra loro quelle genti che di secolo in secolo abbracciavano il Vangelo”.Mettere in contatto, dunque, costruire ponti, dialogare: è il messaggio che Compostela e gli altri Itinerari CdE consegnano all’oggi.

Il rischio di chiudersi. Il cardinal Bagnasco ha inoltre osservato: “Gli itinerari culturali rappresentano un’opportunità anche per la Chiesa cattolica. Per sua natura universale, la Chiesa conosce bene la vocazione a coniugare unità e diversità. Conosciamo bene il valore del locale, l’attaccamento alle nostre terre, della cui identità le comunità cristiane sono spesso le custodi”. Talora, tuttavia, “questo radicamento – ha sottolineato Bagnasco – può comportare il rischio di chiuderci in noi stessi. E allora uscire, mettersi in viaggio è salutare. Non è forse un caso che l’esperienza del pellegrinaggio abbia caratterizzato la vita di numerosi santi – basti pensare a Francesco d’Assisi e a Ignazio di Loyola – e sia stata intrapresa in molte epoche storiche in particolare da giovani, come un richiamo ad uscire dall’ordinario, dalla piatta banalità, per puntare in alto e mettere in gioco se stessi fino in fondo per il Vangelo”.

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