Diana Papa

Come ogni anno, all’inizio di questo mese, abbiamo celebrato la solennità dei Santi: abbiamo vissuto la festività solo come giorno di riposo oppure come momento opportuno per rivisitare il nostro cammino di santità? In questo tempo in cui viviamo l’omologazione a tutti i livelli e, contemporaneamente, siamo spinti dalla ricerca spasmodica di apparire per essere sulla cresta dell’onda, affiorano delle domande: chi sono per noi i Santi e quale significato hanno nel nostro cammino di fede? Ed ancora: quale risonanza ha in noi l’invito di Dio ad essere santi come Egli è santo in tutta la nostra condotta (cfr.1Pt 1,15-16)?

In questo periodo in cui tutto sembra appiattito su un piano orizzontale, non manifestiamo facilmente il desiderio di conoscere la santità feriale di chi ci ha preceduto, di chi ha testimoniato, durante il cammino terreno. Non sempre, inoltre, ci impegniamo a curare il cammino di fede che porta a coinvolgerci anche oggi, con passione e con speranza, nella storia degli uomini e delle donne del nostro tempo, come Gesù Cristo.

Molte volte, abbiamo creduto che i santi sono persone lontane dalla vita reale, spesso irraggiungibili, eteree, rarefatte, disincarnate, incomprensibili, e quindi inimitabili, perciò noi battezzati abbiamo maturato, giorno dopo giorno, la convinzione che il Cristianesimo si identifica con un comportamento intimistico che allontana dalla storia, oppure con un’ideologia che spinge a buttarsi in tante cose da fare… il grande assente spesso è il Signore!

Trascurando l’impegno a vivere nel quotidiano secondo lo Spirito, non abbiamo la costanza di curare la vita in Dio, di assumere come stile la coerenza evangelica, di amare senza condizioni, di santificare le realtà temporali. Ancora oggi stiamo rischiando di vagare fuori del tempo, alla ricerca dell’appagamento dei nostri bisogni, di un idolo di un dio scolpito con le nostre mani, senza preoccuparci della nostra significatività aderente alla storia. Fatichiamo ad essere presenti a noi stessi nel qui e ora, a fare discernimento su ciò che la vita ci presenta, per scegliere secondo Dio; rimanendo bloccati sui nostri manufatti, pensieri e sentimenti, non custodiamo l’armonia della vita che richiede il coniugare sempre il particolare con l’universale.

Quanto più ci impegniamo, durante la vita terrena, ad essere santi, tanto più dispieghiamo la bellezza dell’umanità donata da Dio.

Siamo chiamati a vivere, perciò, una santità che contagia per la gioia del dono della vita e della propria corporeità, luogo di comunicazione, di comunione e di relazione, vivificata dalla presenza dello Spirito.

Dio che ci ha pensati, voluti, creati, amati, inviati perché potesse passare, attraverso il nostro essere, la Sua azione nella storia, ci chiede di vivere l’esistenza come Gesù, riconoscendo nel quotidiano le meraviglie che compie in ciascuno. Ci invita ad abbandonare ogni critica, pregiudizio, risentimento, mormorazione, come ci ripete Papa Francesco, per incontrare ogni altro con il linguaggio dell’amore, determinato da un serio cammino di fede che si sviluppa nel tempo senza mai considerarlo concluso. Il cammino di santità ordinaria che coltiva la meraviglia, lo stupore per l’incontro con l’Altro e gli altri, testimonia la dimensione contemplativa del battezzato che è chiamato a vivere, in virtù del Battesimo.

Svegliarsi la mattina sotto lo sguardo di Dio e ringraziarlo per il nuovo giorno, per il dono della Parola che cadenzerà le mille occupazioni della giornata; avvertire l’aria ossigenata che invita a mettere in moto le giunture del proprio corpo, per collaborare laddove siamo collocati nella costruzione del Regno di Dio; recarsi al lavoro consapevoli che si può collaborare personalmente per l’edificazione del bene comune; essere costruttori di pace e di giustizia, anche andando controcorrente; donare amicizia e mettersi in ascolto di chiunque altro, senza la pretesa di essere capiti, compresi, apprezzati; scoprire la bellezza dell’esserci anche nella momentanea confusione dei ruoli, riconoscendo di essere sempre capaci di generatività e, quindi, di essere madri o padri; imitare Gesù Cristo per stabilire relazioni umane ed evangeliche;

visitare chi è solo ed emarginato e condividere un pezzo di strada con chi non ha nulla;

imparare nel quotidiano a morire a se stessi nella certezza che il frutto nasce dal seme marcito; diffondere la speranza che scaturisce dalla certezza che Gesù Cristo ha amato i suoi fino alla morte di Croce ed è veramente risorto; fissare lo sguardo su di Lui che ci indica la strada per vivere il Vangelo; tenere desto il filo che ci lega sempre al Signore e scegliere di rimanere nel suo amore e a servizio degli altri… questa è santità feriale!

Una santità, quindi, tangibile, umana, che si nutre della Parola di Dio, che rende concreta la possibilità di amare come Gesù. È una santità non studiata a tavolino o frutto di una elaborazione mentale, ma una santità che si sviluppa nel tempo, che abbraccia tutta la persona che cerca costantemente in ogni situazione il volto del Signore e quello degli uomini e delle donne di oggi.

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