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Don Gianni: “Che cosa dovrebbe fare un amministratore che tiene alla società?”

DIOCESI – Venerdì 16 novembre, presso la Cappella della Caritas Diocesana è stata celebrata una Santa Messa in particolare per gli amministratori locali dei 19 comuni che insistono sulla nostra diocesi. La celebrazione è stata presieduta da don Gianni Croci, Direttore della Caritas Diocesana.
Nell’accogliere i convenuti, il sacerdote ha detto di avere un sogno per la Caritas, quello che possa diventare un luogo di “attrazione” per i turisti tanto quanto il Molo Sud o il Torrione, cioè che possa essere consideraro dai cittadini e dai villeggianti non un luogo per i poveri, ma un luogo di incontro per tutti, dove non si offre solo da mangiare, ma anche dove si possa suonare e vivere insieme, in modo tale da diventare un luogo di sviluppo integrale.

Don Gianni così si è rivolto nell’omelia ai fedeli e in particolare agli amministratori locali: “Il vangelo di oggi sembra terrorizzarci dicendoci: “Perirete tutti, morirete tutti”. Se è vero che Dio è un padre, che cosa fa un padre con i figli? Quanti genitori dicono: “Se non fai questo, vedi che ti succede!”, ma poi in fondo non lo fanno. Allo stesso modo Dio con questa parole vuole invitarci a vivere con responsabilità la nostra vita. Il destino delle persone che si gioca nella responsabilità con cui si vive la vita, quindi non è un testo per impaurirci, perché se ci si mette pure Dio a terrorizzarci è finita! Dobbiamo dunque leggere il brano del vangelo in quest’ottica: Dio è un padre che vuole aiutare i suoi figli a essere vigilanti dentro la storia, perché arriverà il momento nel quale Dio non ci giudicherà, ma il momento nel quale ognuno riceverà quello che ha seminato.
Ecco perché il vangelo ci dice che una donna sarà presa e l’altra lasciata: perché ognuno raccoglie quanto seminato. Io non posso raccogliere quello che ha seminato un altro, perché la responsabilità è personale. Molti di voi sono impegnati nella politica e, come diceva Paolo VI, questo è un modo di vivere responsabilmente, perché quello dell’impegno politico, se uno lo fa seriamente, lo fa per il bene degli altri, almeno così dovrebbe essere! Che cosa vuol dire vivere da responsabili nella storia?
Ce lo insegna San Giovanni nella Prima Lettura. Dio ci chiede di camminare nell’amore. Camminare, sì, perché nessuno di noi è arrivato, non si finisce mai di camminare nella vita e il cammino finisce quando ci presenteremo davanti a Dio e lo vedremo faccia a faccia. Quello che è importante è camminare amando. Ora questa parola dice tutto e non dice niente, perché la “strausiamo”. Amare non è una questione di sentimentalismi. Amare significa fare della propria vita un dono per gli altri, ognuno a suo modo: il prete lo farà per la sua comunità, stessa cosa una suora, lo sposato per la sua famiglia, l’amministratore per la sua città. Amare significa mettere a frutto i talenti che il Signore mi ha dato, non per emergere, ma per farne partecipe chi ne ha bisogno. Ecco perché Gesù dice che chi vuole salvare la propria vita la perderà, perché amare significa volere il bene dell’altro. Quindi amare significa dire all’altro: io ti voglio bene e per questo sono disposto a spendere la mia vita per te. Chi è padre e madre non perde la vita tutti i giorni per i propri figli?
Che cosa dovrebbe fare un prete che tiene alla Chiesa? Perdere la vita per la sua comunità. Che cosa dovrebbe fare un amministratore che tiene alla società? Perdere la propria vita per gli altri, dedicare il suo tempo, le sua capacità, le sue competenze ai cittadini. È facile tutto questo? Assolutamente no, però ci proviamo ed ecco perché dico che il cuore della Caritas è questa Cappella perché penso ai volontari che tante volte si chiederanno: “Ma chi ce lo fa fare?”. Dove si trova allora la forza per continuare? La si trova proprio in questo luogo nel dire: “Signore, aiutami tu, perché non sono uno specialista nell’amare, ma col tuo aiuto è possibile quello che da soli non sappiamo fare”. E allora questo è quello che vogliamo fare questa sera: che il Signore conceda a ognuno, secondo il suo stato, la grazia di amare e di pensare quindi, non alla fine della vita, ma al fine della vita”.