DIOCESI – “L’incontro con la morte è inevitabile nella nostra vita: tutti abbiamo cari parenti defunti, tutti ne abbiamo sofferto fortemente e abbiamo versato calde lacrime per distacchi dolorosi. Si tratta di ferite che si rimarginano solo in parte e che lasciano dentro di noi domande difficili che non possiamo far tacere: perché la morte? Perché queste separazioni così dolorose? Che ne sarà di me, di noi? Solo oblio e cenere?”

Con queste parole il Vescovo Carlo Bresciani ha aperto giovedì 2 novembre, la sua omelia pronunciata in occasione della commemorazione di tutti i fedeli defunti.

Il Vescovo Carlo ha poi affermato: “Da sempre l’essere umano, che è cosciente di dover morire, si è posto queste domande, a volte con angoscia, interrogando anche quel Dio in cui crede e talora ribellandosi a un destino che vorrebbe poter dominare.
Anche noi cristiani, credenti in Gesù che è Figlio di Dio, ci poniamo queste domande e ce le poniamo in modo ancor più forte in questa giornata in cui facciamo memoria, nella fede, di tutti coloro che ci hanno preceduto. Ce le poniamo ora, celebrando la santa Messa di suffragio per loro e invocando quell’infinita misericordia di Dio in cui tutti speriamo. La fede non ci toglie queste domande, non ci affranca dalle sofferenze della vita e dalle separazioni dolorose che la morte riserva a ciascuno di noi. Anche noi interroghiamo Dio per avere, in quanto possibile, delle risposte che ci permettano di affrontare la vita con una speranza che non sia vana e illusoria, la speranza che non tutto di noi finisca semplicemente nel nulla.
Dio ci dà certamente una risposta e ce la dà in Gesù. Nella santa Messa noi celebriamo un Dio, Gesù è Dio nell’unità della divina Trinità, che è passato attraverso la morte, ma che non è rimasto nella morte, ma è risorto a nuova vita. Nella santa Messa celebriamo un Dio vivo, non solo il pietoso ricordo di un morto.
Se il mistero della morte e la certezza di dover morire è la prova suprema della vita, sempre difficile accettare per la nostra umanità, noi non crediamo che in un Dio che è Dio della vita, che vuole la vita e non la morte. Non possiamo credere in un Dio che è destinato a morire, e quindi al nulla, come lo saremmo noi. Semplicemente non sarebbe Dio, ma un mortale.
Preghiamo un Dio che in Gesù ha vinto la morte e ha promesso la stessa vittoria a coloro che vivono in Lui e con Lui. Un Dio che è vivo, ci ascolta ed è presente in mezzo a noi.
Questa è la luce che squarcia la notte e l’oscurità impenetrabile della morte, al punto che san Francesco poteva addirittura cantare “sorella morte”, pregustando la vita che avrebbe incontrato, per grazia di Dio, dopo la morte.
Molta oscurità resta ancora nelle nostre povere menti, ma questa luce è la luce intramontabile della fede. È una luce là in fondo alla vita, sicura e non illusoria; una luce che ci invita a passare attraverso l’oscurità della morte senza perdere la speranza, perché questa speranza ha un fondamento sicuro in quella luce della resurrezione di Gesù che brilla per l’eternità e nella sua promessa di vita eterna a coloro che ascoltano la sua parola e lo seguono.
Carissimi fedeli, questa luce è quella che guida la nostra vita: non siamo come quelli che non hanno speranza, dice san Paolo. Noi crediamo nella resurrezione dei morti, come recitiamo nel credo con il quale diciamo la nostra fede. Professione ardua per la mente umana, se non credessimo che Gesù è risorto ed è vivo.
Noi siamo qui a celebrare la santa Messa pregando un Dio vivo e raccomandando a questo Dio che è vivo tutti i nostri defunti, tutti coloro che nella loro vita ci hanno fatto in qualche modo del bene. Molti di essi ci sono ignoti e non li conosceremo se non nella vita che verrà e che ci sarà donata dopo la morte. Ad essi non possiamo dare più nulla, abbiamo ricevuto molto senza poter restituire in misura adeguata. Possiamo solo raggiungerli in Colui e attraverso Colui che è vivo e che celebriamo in questa santa Messa: li affidiamo nella preghiera alla sua misericordia di nostro avvocato presso Dio padre.
Quello che non possiamo più fare noi, chiediamo che sia Dio a farlo, ricompensandoli per il bene che hanno fatto e donato e perdonando con la sua misericordia il peccato che ha segnato la loro vita come quella di ciascuno di noi.
Noi crediamo che questa preghiera non sia inutile, che non sia solo parole per la nostra autoconsolazione, perché Gesù stesso ci ha insegnato a pregare. Assieme alla preghiera sappiamo che le opere di bene – di carità, di amore fraterno …- sono opere di comunione che rendono preziosa la nostra preghiera davanti a Dio: giovano a loro e giovano a noi. Preghiamo non a mani vuote, nelle nostre mani mettiamo le nostre opere buone, povere certamente, ma Gesù saprà unirle alla sua opera e ciò le renderà preziose e meritevoli agli occhi di Dio.
Celebrando la santa Messa noi le uniamo al pane e al vino, le mettiamo sul piatto dell’offerta, le poniamo nella mani di Gesù perché “diventino per noi (e per loro) cibo e vino di vita eterna”. Egli, che trasforma il pane e il vino che offriamo nella santa Messa nel suo corpo e nel suo sangue per la salvezza del mondo, trasformi le nostre opere di suffragio, certamente insufficienti, arricchendole dei meriti della sua passione e morte e le presenti al Padre come meritevoli di essere accolte e ascoltate.
Benedetto sia Dio che ci dà questa speranza e la possibilità di poter fare a coloro che ci hanno preceduto nella fede ancora del bene, con la preghiera di intercessione e con l’offerta delle nostre opere di bene e di suffragio.
Che il Signore ascolti la nostra preghiera!”

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