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Il teologo Rosetti risponde: “È normale farsi selfie davanti alle reliquie dei santi?”

DIOCESI – Lettore: mi capita sempre più spesso, sia quando mi reco fisicamente in mete di pellegrinaggio, sia di riscontrarlo sui social, di vedere tante persone che si fanno dei selfie davanti alle teche che mostrano i corpi dei santi. Non è questa forse una mancanza di rispetto?

La domanda più che di carattere teologico è una questione di buon senso, anche se negli ultimi anni sono stati scritti fiumi di inchiostro su come vivere la fede al tempo di internet. Tanto per fare un nome su tutti, basta pensare allo splendido volume di padre Antonio Spadaro “Cyberteologia”che ha proprio come sottotitolo “pensare la fede al tempo di internet”.
Venendo nel merito della domanda, dobbiamo pensare all’indignazione che hanno suscitato alcuni episodi legati a selfie inopportuni: tutti ricordiamo i selfie scattati davanti al relitto della Concordia o alla ancor più triste vicenda dell’infermiera che si immortalava insieme ai suoi pazienti deceduti. Tutti abbiamo percepito davanti a questi fatti una mancanza di rispetto, di tatto, di buon gusto.

Il fenomeno dei selfie ha generato una piccola rivoluzione nel mondo della fotografia, fino a pochi anni fa dominato da una dinamica che vedeva implicati tre attori: colui che scatta la foto, la macchina fotografica e la realtà fotografata.

Con il selfie il primo e l’ultimo attore tendono ad identificarsi e di fatto si determina la riduzione degli attori a due: colui che si scatta la foto e il suo smartphone.

La pratica dei selfie si inserisce nel più ampio mondo dell’attuale inflazione delle immagini. È un dato di fatto che tutta la nostra vita sia oggi fatta oggetto di sovraesposizione mediatica poiché tutto viene fotografato: non solo particolari momenti belli della vita (feste, compleanni matrimoni), ma anche ogni nostro spostamento fino addirittura a quello che mangiamo (ammetto di essere il primo fra questi!). Non possiamo evidentemente ignorare come tutto ciò sia legato anche all’abbattimento dei costi rispetto alle foto stampate, tuttavia tutto ciò, come descritto nel già citato Cyberteologia, si tratta di fenomeno nuovo, ma di un bisogno antico: quello di comunicare agli altri le proprie esperienze che si ritengono positive.

È in questo contesto che nascono anche gli usi distorti come quello menzionato dal lettore: magari si vuole condividere sui social una bella esperienza come quella di un pellegrinaggio alla tomba di un santo e lo si fa con la modalità del selfie, dimenticando che quello fotografato è il corpo di un defunto che merita rispetto e che in analoga situazione probabilmente mai ci sogneremmo di farci la foto con un morto.