Daniele Rocchi

“Cento anni fa non c’era più niente qui. Tutto distrutto. Intorno solo macerie e decine di migliaia di morti, tra loro tantissimi giovani…”.

Dall’altare della cattedrale gotica di san Martino a Ypres, mons. Jean Kockerols, vescovo ausiliare di Bruxelles, racconta così la Grande Guerra. Fra pochi giorni, l’11 novembre, ricorreranno i 100 anni dalla firma dell’armistizio di Compiègne (1918) che pose fine ai combattimenti di cui Ypres porta ancora i segni indelebili nelle pietre che oggi l’hanno ricostruita. La città belga, nelle Fiandre occidentali, è accostata a due delle battaglie più cruente della Prima Guerra Mondiale. Contesa dagli eserciti in lotta, fu quasi completamente distrutta, le sue campagne si coprirono di morti, divenendo tragicamente celebre per essere stata teatro di uno dei primi attacchi chimici della storia. La cronaca di quei giorni nelle pagine del romanzo di Erich Maria Remarque, “Niente di nuovo sul fronte occidentale” e del suo giovane protagonista, Paul Bäumer:

“Questi primi momenti con la maschera calata, decidono della vita e della morte di un uomo: sarà impenetrabile? Ho presenti le orribili cose viste all’ospedale: gli asfissiati, che soffocando giorno per giorno vomitano pezzo a pezzo i polmoni abbruciati…”.

Il gas mostarda lanciato dai tedeschi contro i canadesi, da questa città belga prese poi il nome: Iprite. Un triste primato che resiste ancora oggi.

“La pace è una missione”. Mons. Kockerols parla davanti a tanti piccoli alunni che riempiono i banchi della cattedrale, due di loro sono al suo fianco. E come un nonno che dispensa consigli ai nipoti ricorda che

“la pace è un impegno, una missione e un desiderio.

Pace significa non essere mai indifferente ai bisogni dell’altro, significa imparare a conoscerlo, a rispettarlo e amarlo. Quando si ama c’è posto per il perdono e la riconciliazione. La pace è un dono di Dio. Quando ci impegniamo per la pace siamo più forti”. Con lui tutti i vescovi della Comece, la Commissione degli episcopati dell’Ue, che hanno scelto di cominciare da Ypres la loro assemblea plenaria di autunno (24-26 ottobre).

Sul Fronte Occidentale. Un pellegrinaggio della memoria dove un tempo era il Fronte occidentale. Qui oggi si rincorrono, uno dietro l’altro, campi agricoli ben tenuti e piccoli e grandi cimiteri di guerra. Dove un tempo erano le trincee sono stati piantati alberi e arbusti. Dalla cattedrale di san Martino giusto il tempo di fare pochi passi per arrivare alla chiesa anglicana di san Giorgio, con i vescovi accolti dal reverendo Paul Vrolijk, arcidiacono della Chiesa anglicana dell’Europa di Nord Ovest. Nella chiesa, dove è incisa la famosa poesia “In Flanders Fields” (Nei campi delle Fiandre), scritta dall’ufficiale medico canadese, John McCrae, diversi volontari lavorano alacremente per intessere oltre 13mila papaveri rossi che l’11 novembre, “Remembrance Day”, ricopriranno il campanile della chiesa. I papaveri, “poppy”, sono gli unici fiori che – dicono da queste parti – riescono a nascere nei campi devastati dalla guerra, forse per questo McCrae, nella sua poesia, li elegge a simbolo dei caduti in guerra. Ve ne sono ovunque, in ogni angolo delle chiese, nei sacrari, i cimiteri militari ne sono praticamente ricoperti. Attaccati a piccole croci di legno o a formare corone. Segno evidente di una memoria e di un ricordo che non accenna a svanire. Ci si ferma un attimo, giusto il tempo di recitare una preghiera ecumenica per la pace. Dei vescovi provano a realizzare qualche papavero che i volontari utilizzeranno.

Ai cimiteri di guerra. Poi la corsa verso il cimitero tedesco di Langemark e quello del Commonwealth di Tyne Cot, il più grande sacrario della Prima Guerra Mondiale del Vecchio Continente. Tanto vicini quanto lontani, negli opposti schieramenti, come i soldati che oggi vi riposano. Una strada di pochissimi chilometri a separarli, quasi la linea del fronte. È un susseguirsi di visite, familiari, parenti e soprattutto tanti studenti da diversi Paesi. Tedeschi, inglesi, francesi, belgi. Si vedono anche canadesi e americani. Un omaggio e un papavero per tutti. Non esistono più nemici. Davanti alle lapidi bianche e ad altre realizzate in pietra scura, i vescovi si fermano a pregare e depongono una rosa bianca. Leggono i nomi, il grado, il Comando di appartenenza, la nazionalità e l’età delle vittime. I giovani sono tantissimi, dai 15 anni in su. Su molte tombe solo la scritta: “A soldier of the Great War – known unto God” (“un soldato della Grande Guerra, noto solo a Dio”). Poi una preghiera comune e la deposizione di una corona di fiori. Mons. Franz-Joseph Overbeck, vescovo di Essen, uno dei vice-presidenti della Comece, al cimitero tedesco di Langemark:

“La pace è il nutrimento della giustizia e la giustizia è fonte di riconciliazione”.

“Preghiamo per tutte le vittime della guerra e per i loro familiari. E preghiamo per chi oggi si impegna a costruire la pace in ogni luogo”. Dal cimitero del Commonwealth di Tyne Cot il ricordo di mons. Nicholas Hudson, vescovo ausiliare di Westminster (Londra), il cui nonno ha combattuto in questa zona ed è tornato vivo: “Siamo in un luogo dove non si può non pensare al prezzo della guerra, a quello che è costata in termine di vite umane, di dolore per le famiglie e per interi Paesi”.

“L’uomo resti al centro del progetto dell’Europa”.

Analogo appello anche nella Gothic Hall della municipalità di Ypres. È mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina e vice-presidente della Comece, a lanciarlo ancora una volta da questo centro delle Fiandre che, con Hiroshima, sua gemellata, condivide questo triste record di “somministrazione chimica della morte”: “La Chiesa cattolica supporta il progetto europeo come strumento di pace nel Vecchio Continente e nel mondo”.

“Perché questo contributo resti efficace è necessario preservare la memoria. Tali ricordi e l’elaborazione della sofferenza passata hanno un’importanza fondamentale se si vuole evitare che violenza e morte tornino in Europa. Le giovani generazioni sono un elemento imprescindibile”.

Il saluto. L’ultimo omaggio dei vescovi è al Menin Gate, la porta attraverso la quale i soldati inglesi marciavano per andare al fronte e spesso verso la morte. I loro nomi, 54.896, sono tutti incisi sulle pareti. La corona di fiori dei vescovi deposta ai piedi del memoriale ai caduti, nel silenzio generale, al suono dell’inno “The Last Post” che trombettieri volontari del Corpo dei Vigili del Fuoco suonano in una cerimonia che si svolge ogni sera alle ore 20, ininterrottamente dal 1928. Ininterrottamente perché, come si legge “In Flanders Fields”, “se voi spezzerete il ricordo di noi che moriamo noi non riposeremo, anche se i papaveri crescono nei campi delle Fiandre”.

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