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Vescovo Bresciani: “Dobbiamo tutti impegnarci ad essere costruttori di relazioni positive”

DIOCESI – Pubblichiamo la prima parte della lettera pastorale per l’anno 2018/2019 del Vescovo della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, Mons. Carlo Bresciani.

Si parla fin troppo oggi di crisi delle relazioni a tutti i livelli: familiare, civile, sociale e anche ecclesiale. Ciò porta non solo a una società sempre più frammentata, ma anche a personalità sempre più fragili, malcontente e insoddisfatte. Abbiamo tutti bisogno di relazioni positive, ma, perché ci siano, dobbiamo tutti impegnarci ad essere costruttori di relazioni positive. È una sfida che da cristiani dobbiamo assumere su di noi dentro una società che non sempre rende facile questo compito, già di per sé impegnativo. Da cristiani, cioè da seguaci e imitatori di Cristo, non siamo senza speranza e non ci rifiutiamo di fronte a quanto di buono e di bello possiamo portare nella Chiesa e nella società. Anche se ciò è impegnativo, la nostra fiducia è nel Signore che cammina con noi.
Ma come essere costruttori di relazioni positive? Se si vuole unire due rive di un fiume o di un lago occorre cercare di costruire ponti che permettano il duplice senso di andata e ritorno. Non bastano ponti unidirezionali, a senso unico.
Se facciamo una visita a Venezia, ammiriamo ponti molto belli, come il Ponte di Rialto per esempio. Se facciamo una visita a Firenze restiamo ammirati per ponti altrettanto belli, come Ponte Vecchio, ad esempio. Senza questi ponti sarebbero impensabili città così belle e attraenti: letteralmente non potrebbero esistere. I ponti permettono la vita e lo sviluppo di queste città, come di tante altre, consentendo a quelli di questa riva di andare dall’altra parte senza temere, e viceversa, a quelli dell’altra riva di venire a questa senza temere. Scavalcano così le acque più o meno limacciose, sporche o turbolente, senza lasciarsi fermare da esse, neppure quando sono in piena.
Presto detto, ma cosa comporta tutto questo? Impegnarsi a costruire ponti, portando ciascuno il proprio mattone, senza fermarsi a guardare o a lamentarsi per ciò che divide le due sponde. Occorre cercare il modo di unirle senza farsi travolgere da ciò che le divide.
È quanto ha fatto Gesù, il nostro pontefice, che ha unito la terra al cielo (ciò che sembrava la cosa più impossibile), costruendo innanzitutto in se stesso l’unità. È questo il mistero dell’incarnazione, il mistero centrale del cristianesimo. È lui che ha abbattuto in se stesso, non le diversità, ma i muri di separazione in modo tale che “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28). Con lui, anche noi siamo impegnati ad abbattere non le diversità, ma tutte le barriere che ci dividono e impediscono di costruire quella civiltà dell’amore cui teneva tanto il beato Paolo VI, presto santo.
I ponti che siamo chiamati a costruire, e a ricostruire continuamente, sono molti, ma tutti possono essere ricondotti a quello fondamentale: quello che unisce l’io al tu fino a poter dire ‘noi’. L’isola del nostro io ha bisogno di un ponte che la unisca al noi di cui l’io fa parte. La voragine che separa l’io dal noi è il grande male della nostra società, male che penetra anche nella Chiesa. Non dobbiamo meravigliarcene più di tanto, poiché la Chiesa è fatta da noi che veniamo e viviamo in questa società e ne respiriamo, anche inconsapevolmente, gli umori e le divisioni. Ma se non vogliamo lasciarci trasportare dalla corrente impetuosa del fiume, dobbiamo cercare di costruire un ponte che la scavalchi. È questo il compito del cristiano nella società e nella Chiesa.
Costruiamo ponti per noi, per chi vive con noi e accanto a noi, per chi verrà dopo di noi, e anche per chi abita sull’altra riva e che forse sembra irraggiungibile.
Chi ci aiuta in questa opera che sembra richiedere forze ben superiori alle nostre? La Parola di Gesù e lui stesso che è “luce ai nostri passi, lampada sul nostro cammino” (Salmo 118, v. 105). È lui che, con noi, costruisce la città (cfr. Sal 126).
Ci lasceremo guidare dalla sua parola e dal suo esempio, ben riassunti dagli insegnamenti dell’apostolo Paolo, in modo particolare da quanto egli scrive ai Filippesi. In questa lettera, infatti, san Paolo si manifesta come un grande costruttore di ponti.

Filippi: Paolo apre il ponte sull’Europa
Durante la notte apparve a Paolo una visione: era un Macèdone che lo supplicava: “Vieni in Macedonia e aiutaci!” (At 16, 9).
La folla [di Filippi] allora insorse contro di loro e i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e, dopo averli caricati di colpi, li gettarono in carcere e ordinarono al carceriere di fare buona guardia. Egli, ricevuto quest’ordine, li gettò nella parte più interna del carcere e assicurò i loro piedi ai ceppi.
Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano ad ascoltarli (At 16, 9. 22-25).

A Filippi Paolo, spinto dalla visione del Macedone che gli chiedeva aiuto, entra per la prima volta in Europa, cambiando completamente i suoi progetti. Qui predica il Vangelo e qui vengono battezzati i primi cristiani europei. Dopo aver aperto ad Antiochia il ponte tra gli Ebrei e i pagani, non senza qualche difficoltà, in Macedonia (Grecia) apre il ponte tra l’Asia e l’Europa. Nasce così in Grecia la Chiesa di Filippi e, più in grande, la Chiesa in Europa.
Per Paolo, in Gesù, non c’è più né divisione né separazione tra giudeo e greco: Gesù è ponte che unisce i popoli, ponte che unisce le culture ed egli nel nome di Gesù getta questo ponte verso l’Europa. È questa la modalità di agire della Chiesa e del cristiano: andare oltre le diversità e costruire ciò che unisce.
Paolo getta un ponte verso l’Europa, che si rivelerà molto fecondo. Ma non tutto è immediatamente facile e trova anche grande opposizione, anche dai suoi connazionali, come ci testimonia il passo degli Atti citato sopra. Non si scoraggia: in prigione canta inni a Dio. La sua forza è in Colui da cui si sente mandato e che ama sopra ogni cosa al punto da dire: “sono stato conquistato da Cristo Gesù” (3, 12) e “per me, infatti, il vivere è Cristo” (Fil 1, 21). Crede fortemente nel suo ministero e più che combattere i suoi oppositori, annuncia incessantemente Gesù Cristo, anche in prigione. Aprire ponti non sempre è facile e non sempre trova subito risposte positive.
Egli è il primo degli apostoli a costruire questi ponti che permettono al Vangelo di arrivare lontano e di unire i popoli: prima in Asia minore, poi in Grecia, a Roma e, forse, perfino in Spagna.
Non tutti hanno accettato di seguirlo su questi ponti; i giudaizzanti gli hanno posto ostacoli a non finire, fino ad arrivare a vere e proprie persecuzioni al punto che mentre scrive ai Filippesi è di nuovo prigioniero (Fil 1, 13). C’è sempre qualcuno che pone ostacoli e tenta di distruggere ciò che uno ha costruito.
La Chiesa e la civiltà sono cresciute e si sono diffuse attraverso la costruzione di ponti – materiali, culturali e spirituali – tra persone, civiltà e popoli diversi, superando diffidenze, incomprensioni, pregiudizi, false idee di superiorità e opposizioni di ogni genere.

Questo Paolo l’ha ben presente quando, scrivendo ai Filippesi, con uno stupendo inno cristologico, li esorta ad avere gli stessi sentimenti di Cristo:
«[Gesù Cristo] pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
“Gesù Cristo è Signore!”,
a gloria di Dio Padre» (Fil 2, 6-11).

Paolo lo scrive ai Filippesi, ma è parola di Dio per tutti noi. Se vogliamo con Gesù, con Paolo e con la Chiesa essere costruttori di ponti, perché le relazioni tra noi – nella Chiesa e nel mondo – possano crescere e migliorare, dobbiamo avere e coltivare in noi questi stessi sentimenti di Cristo. Paolo li esplicita molto bene indicando “comunione di spirito, sentimenti di amore e di compassione… con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi” ed evitando due tentazioni che minano alla base la vita di ogni comunità: la rivalità o spirito di parte e la vanagloria. L’atteggiamento da coltivare è invece quello dell’umiltà, sia ritenendo gli altri superiori a se stesso, sia mettendo al primo posto il bene e l’interesse comune (cfr 2, 2-4).
Gesù ci mostra che le relazioni non si costruiscono sul presupposto di superiorità o privilegi di uno sull’altro, ma sulla capacità di abbassarsi all’altezza dell’altro per aiutarsi l’un l’altro. Paolo lo dice chiaramente “ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso” (2, 3) come Gesù lo fece “diventando simile agli uomini”, abbassando se stesso per partire da dove eravamo noi, senza aspettare che noi arrivassimo a lui.
Non basta costruire ponti, se sopra questi ponti non passano i sentimenti di Cristo, se su di essi passa solo l’economia, o peggio solo la finanza o gli interessi e gli egoismi personali. La globalizzazione nella quale viviamo ha creato ponti comunicativi, economici, culturali, religiosi e …militari molto veloci. Su questi ponti non passano i sentimenti di Cristo. Basta una breve occhiata a quelli che vengono chiamati “i social” per accorgersi subito che sono altri i sentimenti che intasano le reti comunicative. Sono ponti troppo spesso chiusi alle persone e alla loro dignità e troppo aperti ai flussi unidirezionali di materie prime, di denaro, di conquista e di sentimenti negativi.
Paolo, invece, con i Filippesi apre ponti umani che non hanno alcuno scopo di rapina o di manipolazione; non è mosso da interessi personali, ma solo dal desiderio di portare la libertà di Cristo, il rispetto della vita, delle persone, la concordia e la pace; in altre parole: il Vangelo.
Sull’esempio di Cristo e di Paolo, la Chiesa e i cristiani sono sempre stati creatori di ponti tra le culture e tra le nazioni, elemento di unità all’interno delle innumerevoli diversità dei popoli. Con Cristo si sono sempre impegnati ad abbattere i muri di divisione, perché “Egli [Cristo] infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne” (Ef 2, 14).
Il cristiano deve con Cristo continuare con ogni sforzo a cercare di abbattere ogni muro di separazione, costruire ponti sempre più solidi, dentro e fuori dalla Chiesa, perché tutti siamo uno in Cristo e regni la pace.
Se i ponti sono le relazioni tra noi, importanti sono i sentimenti e gli atteggiamenti che passano attraverso essi e che devono muovere i nostri passi nella giusta direzione. Lasciamoci guidare dai sentimenti e dagli atteggiamenti di Cristo nel costruire ponti relazionali all’interno delle nostre comunità di fede, dei nostri gruppi, delle nostre parrocchie, nella società civile e politica e nelle nostre famiglie.
I sentimenti di Cristo, di cui parla san Paolo, non sono le emozioni o le reazioni immediate, che vanno e vengono e spariscono come la neve al primo raggio di sole. Solo sull’onda emotiva, caso mai, si costruiscono ponti inconsistenti incapaci di reggere il peso delle relazioni umane e che cadono al primo peso che li attraversa. I sentimenti di Cristo, di cui parla Paolo, sono qualcosa di più profondo dei superficiali desideri di immediata gratificazione, sono legati alla volontà e alla cura di una duratura benevolenza verso l’altro. Sono frutto di impegno e dobbiamo formarli in noi.