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A tu per tu con Don Roberto Melone

GROTTAMMARE – Don Roberto Melone, che da poco ha festeggiato i suoi 15 anni di sacerdozio, è parroco della chiesa Gran Madre di Dio di Grottammare e responsabile dell’Ufficio per la Pastorale della Salute. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio lui e il servizio che presta all’interno della comunità diocesana.

Quando hai iniziato a occuparti della pastorale sanitaria? Hai risposto a una necessità della Chiesa o hai chiesto tu di occuparti di questo delicato settore?
Ho iniziato ad occuparmi della pastorale della salute circa un anno e mezzo fa. Non ho chiesto io di avere questo ufficio, bensì è stata una richiesta esplicita del Vescovo per far fronte alle necessità.

Quali sono le attività più importante dell’ufficio del quale sei responsabile?
Lo specifico della pastorale della salute è di raccordare un po’ tutto quel mondo che ha a che fare con la fragilità dell’uomo e con la sua sofferenza: la Caritas, l’Unitalsi, personale medico e paramedico, volontari, ma anche i ministri dell’Eucaristia. È una pastorale che richiede di rivedere tutta la pastorale della Chiesa, perché il mondo della fragilità, della soffererenza, degli ultimi è quello che ci interessa di più e che chiede un approccio diverso da parte di tutta la Chiesa, perché, se guardiamo le cose dal punto di vista evangelico, Gesù si è sempre avvicinato a chi era ultimo, a chi era debole, a chi non ce la faceva. Per questo l’icona della pastorale della salute è il buon samaritano: ogni cristiano è chiamato a farsi portatore dei verbi di questa parabola: fermarsi, curare, accudire, farsi carico, ripassare, pagare in prima persona. Atteggiamenti questi che rappresentano il nuovo decalogo del cristianesimo, non perché uno voglia mettere in soffitta i dieci comandamenti, ma perché tutti i comandamenti sono racchiusi in questa immagine evangelica.

Tu sei anche insegnante di religione presso l’istituto per geometri di Grottammare. Come è avvertita da ragazzi e colleghi la presenza di un prete in una scuola laica?
Ormai sono 14 anni che sono nella scuola per geometri, anche se ho girato anche altri istituti come l’Ipsia, l’Alberghiero, la Ragioneria e quindi ho veramente una panoramica generale sul mondo della scuola! Al di là di quello che si dica, la presenza di un sacerdote nella scuola è vista bene sia dai ragazzi che dai professori, l’importante è sempre come ci si rapporta, come ci si propone. Bisogna avvicinarsi in modo umano, con lo stesso atteggiamento del buon samaritano di cui parlavo prima: non è questione di andare a scuola a fare dottrina o catechismo, ma è l’esigenza di farsi prossimi ai ragazzi attraverso le loro fragilità, le loro domande, i loro interrogativi, le loro ricerche e credo che più che mai un prete è chiamato proprio a intercettare queste domande di fondo che poi sono le domande che si portano anche i colleghi. Credo che l’esperienza sia sempre quella di collaborare in rapporto di dialogo, di confronto. Il mondo della scuola ci permette di avere una visuale a 360 gradi, di fare un vero annuncio e di essere veramente in uscita, volendo riprendere un’immagine cara a Papa Francesco, perché nella scuola si ha a che fare con non credenti, con credenti di altre religioni, con professori che si definiscono atei o sono anticlericali e per cui veramente questa diventa un’occasione unica e irripetibile.

Se tu dovessi scegliere fra i vari aspetto della vita sacerdotale quello che più ti entusiasma, quale metteresti al primo posto?
Credo che la vita del prete non sia una vita che si spende per settori o per ambiti. La vita di un prete si spende per l’intero Popolo di Dio, per cui non credo minimamente in espressioni settoriali come “il prete dei giovani”, “il prete dei malati”: il prete è il prete di tutti e, come immagine di Cristo, è chiamato ad andare verso tutti e verso tutto.