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Paolo VI e il confronto costante con la modernità, in dialogo con il Vescovo Carlo Bresciani

DIOCESIPaolo VI fu il pontefice che traghettò la Chiesa verso il nuovo millennio, dalla conclusione del Concilio Vaticano II e alla graduale riforma della Chiesa negli anni successivi. La caratteristica del suo pontificato fu quella di dialogare con l’uomo moderno, pur ribadendo i princìpi della tradizione cristiana e il ruolo universale della Chiesa di Roma. Attraverso il suo messaggio Papa Montini si pose come punto di riferimento non di un’unica religione, quella cristiana cattolica romana, ma di tutti gli individui che si riconoscono nel suo messaggio di prossimità e umanità, incarnando pienamente la rinnovata aspirazione universale della Chiesa di Roma. Ieri la Chiesa lo ha elevato alla gloria degli altari, mi piacerebbe celebrare questo evento condividendo un paragrafo del mio lavoro di Tesi, “Geopolitica della Chiesa Cattolica”, al quale ha generosamente offerto il proprio personale contributo Mons. Carlo Bresciani, Vescovo di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, membro del Comitato esecutivo dell’Istituto Paolo VI.

Giovanni Battista Montini fu una figura emblematica della Chiesa Cattolica, tra i protagonisti della sua epoca nell’ambito della geopolitica dell’intera civiltà. Per comprendere la figura di Papa Paolo VI è necessario comprendere che egli non fu mai un appassionato della diplomazia e manifestò più volte le sue personali insofferenze in questa disciplina importante e articolata. Fu indotto dagli eventi a seguire una “carriera diplomatica”, infatti l’impegno politico del padre Giorgio Montini, parlamentare di lungo corso, e il provvidenziale intervento presso il cardinale segretario di Stato Pietro Gasparri dell’amico di famiglia G.M. Longinotti, uomo politico bresciano, tra i fondatori del Partito Popolare: il giovane prete, dopo un decisivo incontro con il sostituto della Segreteria di Stato Card. Pizzardo, fu destinato al servizio diplomatico.

Dalla sua biografia emersero numerose lettere, rivolte al suo padre spirituale, che testimoniavano la grande paura di intraprendere questa disciplina, pur tuttavia accettando per obbedienza tale dovere.
Quello che mosse fin da subito l’aspirazione del futuro Paolo VI, fin dalla sua infanzia, fu la passione per la Chiesa missionaria e il desiderio ardente di alimentare la cultura del proprio ambiente scolastico, fondando diverse testate giornalistiche, con attorno numerosi collaboratori e amici, favorita dalla lunga evoluzione del cattolicesimo dell’epoca, diviso sull’opportunità di entrare nella lotta politica ma fecondo d’iniziative e opere religiose, culturali, sociali ed economiche.
Montini ebbe fin da subito una visione politica dello Stato ben chiara, che in seguito maturò con l’esperienza, entrando in diplomazia, poi nella Segreteria di Stato, dedicandosi a pieno ritmo fino al giorno del suo solenne ingresso in una delle diocesi più grandi del mondo, come Arcivescovo di Milano.
Durante il suo periodo all’interno della Segreteria di Stato divenne il braccio destro di Pio XII, un’esperienza che gli permise di acquisire una certa autorevolezza in ambito politico e una visione chiara del fascismo, schierando contro il regime la stessa FUCI di cui fu assistente dal 1925 al 1933.
Il clima politico e culturale imposto dal fascismo s’era intanto fatto asfissiante per un’associazione estranea al regime come la FUCI e per altre organizzazioni cattoliche. Già nel corso del 1925 si ebbero ripetute e gravi violenze fasciste contro i cattolici in diverse città italiane, e nel 1926 il congresso nazionale della FUCI, aperto a Macerata il 27 agosto e subito trasferito ad Assisi, fu turbato da violente provocazioni; benché poi fossero stati avviati colloqui per la soluzione della “questione romana”, che si ebbe l’11 febbraio 1929 con la firma dei Patti Lateranensi, le ostilità e le pressioni si moltiplicarono nel quadro di ricorrenti polemiche e tensioni fino alla crisi del 1931, quando il 29 maggio il capo del governo B. Mussolini diede ordine ai prefetti di sciogliere in tutta Italia le associazioni giovanili cattoliche.

Gli anni fucini, procurandogli diversi problemi all’interno della stessa segreteria, costringendolo ad abbandonare la stessa Fuci, cui si era dedicato. Sviluppò un forte animo formatore che gli permise anche di collaborare con numerosi giovani. Seguì le vicende del fascismo dalla Segreteria di Stato, durante la seconda guerra mondiale, all’interno di un territorio, quello della Chiesa, che si era definito neutrale, ma mantenendo una visione politica chiara sulle sorti della guerra e del fascismo stesso.
Fu attivo insieme a Pio XII nell’ambito dell’assistenza alle famiglie alla ricerca dei parenti dopo le stragi della guerra, sia di assistenza agli ebrei e ai vari rifugiati.
La Segreteria di Stato svolse un ruolo preminente a livello mondiale grazie alle relazioni che s’instaurarono con i vari nunzi che ricevevano a loro volta informazione su come comportarsi.

La lunga permanenza di Montini ai vertici della segreteria di Stato – quindici anni da sostituto e altri due come prosegretario di Stato per gli Affari ordinari, preceduti da tredici anni come minutante – è il periodo meno conosciuto della sua vita.
Alla vigilia del conflitto mondiale fu lui a preparare nella notte tra il 22 e il 23 agosto 1939 l’abbozzo dell’estremo ma inutile appello di pace che Pio XII lanciò per radio il 24:

«Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra»

Paolo VI esaminò la sua visione durante questa fase politica e l’approfondì quando divenne Arcivescovo di Milano. Egli si accorse del grande cambiamento che stava avvenendo durante il secondo dopoguerra e fu sempre più preoccupato del fatto che la cultura si stesse allontanando sempre di più dal Cristianesimo.
Montini, infatti, fu molto sensibile alle tematiche culturali, poiché la sua aspirazione vera era quella di diventare letterato; questa sua vena emerse soprattutto nei suoi scritti ed emergeva soprattutto nel suo modo di parlare.
Durante il suo periodo milanese egli ebbe modo di integrare questa sua visione, avuta durante il periodo della Segreteria di Stato, con le trasformazioni in atto, in linea con gli sviluppi economici. Egli voleva far riavvicinare la società, divenuta sempre più secolarizzata, alla Chiesa, studiando molto bene la realtà e cercando di instaurare una nuova relazione.
Quando divenne Papa egli portò con sé questa sua esperienza e comprese che questo mondo, ormai lontano, andava accostato, cercando un dialogo costante con la modernità.
Il suo dialogo con il mondo fu in diversi campi, spaziando dalla letteratura all’arte e la spiritualità. Il grande messaggio che lui lasciò al termine del Concilio Vaticano II fu di grande importanza, evidenziando il connubio tra modernità e spiritualità. Papa Montini comprese che la Chiesa doveva necessariamente affacciarsi al mondo con un’ottica completamente nuova, infatti egli fu il primo ad intraprendere il primo viaggio internazionale che fu in Terra Santa.
L’idea del viaggio fu poi ripresa da tutti suoi successori, anche in questo campo fu il pioniere, diventando di fatto il Papa evangelizzatore, puntò molto sull’unità del mondo, con lo sguardo sempre attento ai più poveri.
La “Populorum Progressio”, scritta dallo stesso pontefice, non solo affermava la necessità di uno sviluppo dei popoli, ma esortava l’Occidente ricco a guardare alla povertà dei popoli del “Terzo mondo”. I suoi numerosi viaggi, tra cui quello in India, furono fondamentali alla sua formazione, soprattutto quello fatto negli Stati Uniti d’America, all’ONU.

Questa è la Nostra prima dichiarazione; e, come voi vedete, essa è così semplice, che sembra irrilevante per questa Assemblea, che tratta sempre cose importantissime e difficilissime. Ma Noi dicevamo, e tutti lo avvertite, che questo momento è anche grande. Grande per Noi, grande per voi.
Per Noi, anzitutto. Oh! voi sapete chi siamo; e, qualunque sia l’opinione che voi avete sul Pontefice di Roma, voi conoscete la Nostra missione; siamo portatori d’un messaggio per tutta l’umanità; e lo siamo non solo a Nostro nome personale e dell’intera famiglia cattolica, ma lo siamo pure di quei Fratelli cristiani, che condividono i sentimenti da Noi qui espressi, e specialmente di quelli da cui abbiamo avuto esplicito incarico d’essere anche loro interpreti. Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata; così Noi avvertiamo la fortuna di questo, sia pur breve, momento, in cui si adempie un voto, che Noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sì, voi ricordate: è da molto tempo che siamo in cammino, e portiamo con Noi una lunga storia; Noi celebriamo qui l’epilogo d’un faticoso pellegrinaggio in cerca d’un colloquio con il mondo intero, da quando Ci è stato comandato: “Andate e portate la buona novella a tutte le genti”.
Ora siete voi, che rappresentate tutte le genti. Noi abbiamo per voi tutti un messaggio, sì, un messaggio felice, da consegnare a ciascuno di voi.
Il Nostro messaggio vuol essere, in primo luogo, una ratifica morale e solenne di questa altissima Istituzione. Questo messaggio viene dalla Nostra esperienza storica; Noi, quali “esperti in umanità”, rechiamo a questa Organizzazione il suffragio dei Nostri ultimi Predecessori, quello di tutto l’Episcopato cattolico, e Nostro, convinti come siamo che essa rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale.

Egli vedeva in questa organizzazione mondiale, un amplificatore del messaggio evangelico, ma soprattutto, il punto di convergenza per evitare ulteriori guerre come quelle scatenatesi qualche decennio prima. Egli espresse all’Onu la sua visione del mondo che si doveva avviare verso un’unitarietà globale, attraverso il dialogo la comprensione e l’aiuto verso i più poveri. Egli decise addirittura di togliersi la tiara e di dare il ricavato ai più poveri. Questo gesto fu così importante che da allora nessun Papa volle più indossare la tiara.
Pur avendo egli stesso una capacità comunicativa molto forte, egli ricorreva molto ai gesti simbolici perché riteneva che fossero molto più efficaci di molte parole, cercando di creare così un forte senso di comunità mondiale. Paolo VI e con essa tutta la Chiesa ottennero un grande appoggio mondiale per le sue posizioni super partes, nella sua evangelizzazione e nella sua promozione umana.
La sua “Evangeli nuntiandi”, infatti aveva lo scopo di intravedere una relazione tra evangelizzazione e promozione umana. Tale opera può essere considerata come una sintesi della sua visione di una Chiesa evangelizzante; promuovere dunque lo sviluppo umano in relazione con l’annuncio evangelico. Per lo sviluppo umano egli riteneva importante promuovere le strutture sociali, soprattutto quelle del mondo del lavoro e le varie strutture civili, le quali dovevano essere tutte orientate verso un’unitarietà mondiale. Questa sua visione era, tuttavia iniziata a maturare già durante il periodo della Segreteria di Stato, sotto il pontificato di Pio XII in cui già fa intravedere la sua autorevolezza, persino tra gli ambasciatori; particolare fu la corrispondenza intrattenuta con l’ambasciatore francese di allora. La collaborazione con Pio XII durò fino a quando non sorsero delle discordanze soprattutto in materia politica italiana con il pontefice, cui seguì il periodo il periodo milanese. La sua figura più volte fu associata al socialismo, tuttavia questa è una errata interpretazione della sua figura. Egli riteneva solamente che vi era bisogno di una base più ampia ed è per questo che non si oppose molto al centro sinistra, ma non per questo egli può essere considerato come totalmente socialista.
Lui intravedeva i rischi della modernità, ma era sicuramente molto ottimista al riguardo, tuttavia egli non ottenne la risposta da lui desiderata e questo gli provocò tanta sofferenza. Egli ha anche attraversato la grande crisi della Chiesa durante il periodo del 1968, cercando di mantenere una visione molto lucida sul mondo e favorendo la comunione tra fratelli.
La forza della Chiesa infatti non deriva dalle sue ricchezze, ma dalla sua capacità di rivolgersi al mondo, attraverso la comunione di un’unica fede con altri paesi e condividendo con altri gli stessi valori, nonostante le differenti culture.
Questa è la vera geopolitica della Chiesa, tutto il resto non conta. Essa è capace di rivolgersi a tutti i popoli ed è per questo che è universale; il Papa non è solo il Papa di Roma, ma è il Papa di tutti i popoli che si riconoscono nel suo messaggio.

Papa Paolo VI incarnò pienamente questo spirito universale della Chiesa. In ciò risiede il vero potere della Chiesa, che consiste nel diffondere messaggi e valori che sono pienamente umani. Quando si parla dei valori di giustizia e di bontà in comunione con la fede, essi sono valori puramente umani. La Chiesa promuove l’uomo e ciò è dimostrabile dai numerosi sostegni che essa dà alle diverse istituzioni anche a livello finanziario e soprattutto alle numerose scuole che sorgono nei diversi territori. Questi valori sono valori che sono strettamente collegati con la fede, ma hanno sicuramente uno sviluppo umano; basti pensare alla Caritas. In questo senso la potenza della Chiesa non è economica, ma risiede nel suo messaggio universale. La forza della Chiesa è una forza puramente spirituale; riguardo alle cose puramente materiali essa non può imporre niente.
Questa forza spirituale deriva dal fatto che essa proclama valori che sono veramente universali, non sono settoriali; se fossero tali essi non avrebbero la forza di parlare al mondo.