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Domanda del lettore: “Le scrivo, perché vorrei sapere da lei, se ci possano essere delle situazioni in cui è necessario entrare in guerra e cosa insegna il Magistero della Chiesa su tale questione. Mi spiego meglio: Io so che San Tommaso, nella sua Somma Teologica, afferma che esiste una “guerra giusta”, cioè per legittima difesa, quando un popolo subisce un attacco o un’invasione da un altro. Io, però, su quanto lui afferma, non sono minimamente d’accordo! Quello di difendersi, può essere un desiderio di giustizia-umana, oppure di difendere la propria dignità, ma, se fosse veritiero ciò che insegna San Tommaso, allora non avrebbero senso le affermazioni di Nostro Signore, quando egli dice: “Amate i vostri nemici”; oppure quando dice: “Porgi l’altra guancia”. Al contrario, avrebbe istigato il popolo ebraico a dichiarare guerra ai Romani: non mi sembra minimamente che egli lo abbia fatto!”.

Il nostro teologo Nicola Rosetti risponde: “La visione cristiana della vita è una visione realista ed equilibrata e questo vale anche nel drammatico caso dei conflitti fra gli stati. Essendo i cristiani seguaci del Principe della Pace (cfr. Is 9,5) che ha proclamato beati gli operatori di pace (cfr. Mt 5,9), sarà loro compito e loro dovere cercare tutte le strade perché i conflitti siano evitati.

Tuttavia per fede sappiamo che un ordine perfetto e di assoluta pace sarà possibile solo grazie a un intervento divino alla fine dei tempi, quando il peccato e ogni desiderio di sopraffazione sarà vinto. Fino ad allora dobbiamo tendere alla perfezione nella consapevolezza di non poterla raggiungere.

I cristiani dunque, per quanto riguarda i temi della guerra e della pace, dovranno compiere tutti gli sforzi possibili per promuovere la pace e solo come extrema ratio ricorrere alla guerra.

Come da lei accennato, nella teologia tradizionale si parla di “guerra giusta” che però per la nostra sensibilità attuale potrebbe suonare come un’espressione stonata. La “guerra giusta” altro non è che una guerra di legittima difesa. Come lei stesso ha detto, è proprio San Tommaso d’Aquino a parlarne nella sua Summa (cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiae, II-II, q. 40, a. 1. Per approfondire il tema si veda la voce “Guerra”, in B. MONDIN, Dizionario enciclopedico del pensiero di San Tommaso d’Aquino, ESD, Bologna 2000) e io ritengo che egli ne parli con grande equilibrio, rifacendosi sia alla Sacra Scrittura che ai Padri della Chiesa. Egli pone tre condizioni perché una guerra possa definirsi “giusta”. La prima è che essa sia dichiarata da un’autorità legittima, la seconda che abbia una giusta causa e in ultimo che il fine sia quello di restaurare la pace e che quindi non si combatta per vendetta o per ira.

Riflettendo sulla prima condizione, l’Aquinate dice che come legittimamente, e secondo l’insegnamento della Scrittura, l’autorità detiene la spada per punire i malfattori interni (cfr. Rm 13,4) allo stesso modo la spada può essere usata contro i nemici esterni al fine di difendersi, se aggrediti.

Nel suo ragionamento, San Tommaso si richiama all’insegnamento di un altro grande del pensiero cristiano: Sant’Agostino. Il vescovo di Ippona scrive: “Se la religione cristiana condannasse totalmente le guerre, nel Vangelo, ai soldati che chiedevano un consiglio di salvezza, si sarebbe dato quello di abbandonare le armi e di fuggire la milizia. Invece fu loro detto: “Non fate violenza a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”” (cfr. SANT’AGOSTINO, Epistola 138).

Dunque la vita militare non è incompatibile con la vita cristiana, tanto è vero che numerosi santi specialmente della chiesa primitiva erano soldati (solo a titolo d’esempio si pensi al nostro San Benedetto Martire). Compito delle forze armate sarà proprio quello di difendere la popolazione inerme e aggredita.

Se si negasse questa possibilità di difendersi, questa extrema ratio, allora si dovrebbe negare anche il principio di legittima difesa che invece la Chiesa riconosce come vero: “L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita.

Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale”

(cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2264).

Il Catechismo ricorda inoltre che, affinché la reazione di un popolo aggredito sia legittima, si debbono verificare contemporaneamente quattro condizioni: che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2309).

Al termine di questa riflessione vorrei, anche se solo brevemente, accennare allo sforzo del magistero contemporaneo per promuovere attivamente la pace e a tal proposito non possiamo non citare la Pacem in terris di Giovanni XXIII e l’istituzione da parte di Paolo VI nel 1967 della Giornata Mondiale della Pace che ogni anno si celebra il primo giorno dell’anno.

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