Gianni Borsa

Un tour del Vecchio continente in (almeno) quattro tappe può aiutare a comprendere meglio in questi giorni se e in quale direzione si muovono i Paesi europei e l’Ue nel suo insieme.
Prima tappa Birmingham.Nel Regno Unito è in corso il congresso dei Tories. Il partito conservatore, alla guida del governo, si è mostrato, sin dalla vigilia, lacerato e confuso. Pur avendo rivinto da non molto le elezioni, e dovendosi confrontare con un’opposizione frastagliata, i Conservatori – per dirla a chiare lettere – non sanno che pesci pigliare. Hanno convocato e tirato le fila del referendum sul Brexit, assieme all’euroscettico Nigel Farage; hanno sacrificato sull’altare di un improbabile “interesse nazionale” il premier David Cameron; hanno costretto gli elettori a tornare alle urne lo scorso anno per poi dar vita a un esecutivo sostenuto da una debole maggioranza parlamentare; e ora si dimostrano incapaci di gestire le trattative con i Ventisette – che di sconti agli inglesi non ne vogliono fare – per un divorzio consensuale e senza eccessivi svantaggi per i cittadini britannici. Pochi lo ammettono ad alta voce, ma è ormai chiaro che l’uscita dall’Unione europea lascerà Londra isolata, non porterà nuovi affari alla City né alle imprese dell’isola, solleverà ulteriori divisioni interne fra gli stessi sudditi della regina, fra Inghilterra e Scozia, e con il rischio – gravissimo – di alzare muri e riaprire vecchie ferite tra le due Irlanda. Theresa May potrebbe finire impallinata dal “fuoco amico” del suo stesso partito, dove i puristi dell’Hard Brexit, guidati dall’ex ministro Boris Johnson, stanno facendo di tutto per scalzare la premier dal numero 10 di Downing Street. Quale sia il loro grande e alternativo disegno politico non è però ancora chiaro.
Secondo sguardo su Lussemburgo.Per due giorni i ministri delle finanze dell’Eurozona e dell’Ecofin (Ue28) daranno vita a un serrato confronto su conti pubblici, unione economica e monetaria, situazione dell’economia reale… Prevarranno negli interventi i numeri indice, le percentuali, le “macro-strategie”, ma non saranno relegati in secondo piano i problemi reali della tenuta della moneta unica, della sostenibilità dei bilanci dei Paesi membri, della promozione di una crescita che crei occupazione. Purtroppo l’Italia sarà ancora una volta sotto la lente di ingrandimento. L’Europa chiede al governo in carica, e in particolare al ministro Tria, le ragioni dell’annunciato sforamento del deficit strutturale, dall’1,6 auspicato al temuto 2,4%. Non si tratta – hanno spiegato i commissari Moscovici e Dombrovskis – di mettere sulla graticola un governo, ma di rispettare i patti e di salvaguardare la stabilità dell’Eurozona. L’Italia ha un debito pubblico gigantesco, le previsioni di crescita non sono entusiasmanti, le agenzie di rating puntano il mirino. Ma soprattutto chi conosce l’abc dell’economia sa che deficit fuori controllo e debito in rialzo significano nuove sventure di lungo periodo per le tasche degli italiani. Tria saprà essere convincente?
Ed eccoci in Macedonia.Domenica 30 settembre si è svolto il referendum sul nuovo nome del Paese (Macedonia del Nord), decisione che porrebbe fine al braccio di ferro con la Grecia e consentirebbe a Skopje di fare un deciso passo avanti verso l’Unione europea e la Nato. In questo senso si era battuto il premier Zaev, europeista e socialdemocratico, mentre il presidente della Repubblica, il conservatore Ivanov, aveva invitato al boicottaggio. Il referendum, pur se consultivo, ha però fallito il quorum: alle urne si è recato il 36% degli aventi diritto che al 90% hanno votato sì all’accordo con Atene. Ora la palla torna in parlamento, dove si attende una battaglia feroce, che potrebbe sfociare in un ritorno alle elezioni generali. Di sicuro la Macedonia ieri ha ribadito un vecchio e sterile nazionalismo (“Alessandro Magno è nostro e guai a chi lo tocca”), inchiodandosi al passato mentre il mondo corre veloce.
Ultima tappa Strasburgo.Da oggi a giovedì torna la plenaria dell’Europarlamento. Molti, come sempre, i temi in discussione, le decisioni politiche e legislative attese, i dibattiti sul futuro dell’Europa, i confronti aspri tra europeisti ed euroscettici. L’Europarlamento è eletto a suffragio universale, è – o meglio, dovrebbe essere – la voce dei cittadini. Pur avendo poteri limitati entro l’architettura Ue esso rimane la cartina al tornasole dello stato di salute del continente. A soli nove mesi dalle elezioni che rinnoveranno la composizione dell’Assemblea sarà interessante verificare se in effetti a Strasburgo l’Europa si riconosce come “unita nella diversità”, con un orizzonte valoriale e politico comune, oppure se le forze disgregatrici stanno prevalendo, per poi imporsi definitivamente al voto del 23-26 maggio. Con tutte le conseguenze del caso.

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