I conti pubblici italiani verranno sottoposti nelle prossime settimane a revisione di rating (cioè voti e valutazioni) da parte delle principali agenzie internazionali. Piacciano o no, quei giudizi sono destinati a influenzare grandi movimenti di denaro di chi presta soldi e fiducia allo Stato Italiano ( e un terzo dei titoli pubblici è in mani estere) e alle società italiane. Criticabile in alcuni aspetti, il sistema di valutazione internazionale è ancora il migliore per sapere se il soggetto che ha ricevuto soldi in prestito si sta adoperando per garantire il rimborso. Il pericolo è semmai che le agenzie di rating non colgano rapidamente i segnali di allarme. E’ già successo.
Nel 2008, esattamente 10 anni fa in questi giorni, una grande banca americana (Lehman Brothers) venne dichiarata fallita. Improvvisamente. Quando tutti confidavano in un intervento di salvataggio. Quel 15 settembre 2008 è rimasto nella storia, ripreso in decine di libri e qualche film. Quando la banca fallì, oltre ai lavoratori e ai fornitori, anche i possessori di azioni e titoli vari subirono una mazzata.
Nell’analisi che ne seguì molti notarono che il rating di Lehman era “A” che non è il giudizio massimo ma è pur sempre un voto che indica la solvibilità della banca, capace di ripagare capitale e interessi delle obbligazioni emesse. Quindi il monitoraggio da parte delle agenzie di rating non fu efficace perché gli analisti non avvertirono per tempo quanto poteva accadere. Lo stesso è accaduto in altre occasioni dove le tre sorelle (Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch cui si aggiungono agenzie più piccole) vennero accusate di arrivare in ritardo.

Le società di rating sono utilizzate da tutti: banche, assicurazioni, investitori grandi e piccoli. Dal potente fondo delle “vedove scozzesi” (Scottish Widows Investment) ai risparmiatori attenti. Guardano ai voti soprattutto i fondi comuni e i fondi pensione dei lavoratori, cioè quei grandi contenitori collettivi di denaro che vengono gestiti professionalmente per garantire un rendimento aggiuntivo alla remunerazione o alla pensione pubblica o di categoria. Devono rispondere ai loro aderenti. Un cattivo funzionamento delle società di rating (ritardi negli allarmi o nelle schiarite) influisce indirettamente sulle performance di quei fondi collettivi delle famiglie italiane. In Italia sono 8,5 milioni i lavoratori e i professionisti che si avvalgono di fondi o strumenti di pensione integrativa per un controvalore gestito di 165 miliardi. I fondi possono essere chiusi o aperti. Nel nel primo caso sono spinti da accordi di categoria e non a caso il fondo Cometa (metalmeccanici) è quello che ha ottenuto da lungo tempo un’adesione massiccia con oltre 400mila partecipanti. Il fondo chiuso (definito anche negoziale) è nato sull’accordo di imprese e sindacati (Federmeccanica e Fiom,Fim, Uilm e Fismic). Tutte le parti, Stato compreso, concordano che una parte del Tfr (trattamento di fine rapporto) possa essere messo a disposizione di una gestione collettiva ai fini di migliorare la garanzia e la qualità della vita post-lavoro.

Le agenzie di rating in tutto il mondo si propongono di aiutare i gestori a evitare perdite di valore sui soldi loro affidati.

Per tornare al 2008, titoli obbligazionari Lehman Brothers vennero comprati anche dal Fondo Cometa, da Fonchim (il fondo dei lavoratori chimici) e da Fondenergia (lavoratori del gruppo Eni). In tutti i casi gli acquisti rispondevano a una logica di diversificazione (cioè mai troppo esposti su un singolo Stato, settore, società o valuta) e i danni risultarono limitati.
Infine, le società di rating fanno politica? Ogni tanto il dubbio riaffiora, quasi che il valutatore esterno sia guidato da una mente occulta o un servizio segreto in grado di far vivere o morire i governi. Le società di rating hanno fra gli azionisti molti dei grandi investitori istituzionali che hanno necessità di un monitoraggio continuo. Per questo pagano. Certo, nelle compagini societarie c’è qualche soggetto finanziario o editoriale che può avere qualche interesse meno tecnico. Gli Stati e le società che emettono titoli (cioè chiedono prestiti) però pagano e collaborano per avere un giudizio delle tre sorelle del rating. Sono strafelici di poter annunciare l’ottenimento di un buon rating o un giudizio in miglioramento. Anche perché i gestori del denaro di lavoratori e famiglie non prenderebbero in esame obbligazioni senza rating e si ridurrebbe la platea dei potenziali compratori. Senza un “voto” aumenterebbe l’interesse (rendimento) da riconoscere a chi presta soldi comprando titoli più rischiosi.

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