Daniele Rocchi

“Una crisi che viene da lontano e che Erdogan ha cercato di fronteggiare con le elezioni politiche anticipate del 24 giugno temendo un peggioramento della situazione economica che gli avrebbe alienato buon parte del consenso popolare di cui il leader islamista gode da anni”.

(Foto: AFP/SIR)

Così Alberto Gasparetto, dottore di ricerca in Scienza politica e relazioni internazionali all’Università di Padova spiega al Sir la crisi che sta coinvolgendo la Turchia alle prese con il rischio di tracollo finanziario.

“L’aumento della disoccupazione e la svalutazione della lira nei confronti del dollaro, iniziata nel 2015 e consolidatasi nel 2017 – afferma l’analista – sono segni evidenti di una crisi che negli ultimi giorni si è rivestita anche di evidenti contenuti geopolitici direttamente connessi alle vicende mediorientali e al deterioramento dei rapporti con quello che, un tempo, era ritenuto il maggior alleato turco, ovvero gli Stati Uniti d’America.

Questi ultimi, con il presidente Trump, hanno comminato sanzioni e dazi che hanno dato una ulteriore spallata alla lira turca e allo stesso Erdogan reo, secondo il tycoon americano, di non essersi adeguato alle sanzioni contro l’Iran”.

Una guerra economica. “Una guerra economica” l’ha definita il presidente turco che ha fatto appello a tutta la retorica del caso per stimolare da un lato l’orgoglio nazionale e dall’altro lanciare messaggi all’Europa preparandosi al vertice di settembre con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il presidente francese, Emmanuel Macron, due leader certamente non in sintonia con Trump. Per Gasparetto il presidente americano “sta mettendo sotto pressione la Turchia per la sua politica di vicinanza alla Russia e all’Iran, due potenze con cui Erdogan ha trovato un compromesso per la Siria. Nonostante il rapporto di rivalità, la Turchia ha sempre avuto relazioni commerciali ed energetiche con il regime degli Ayatollah dal quale acquista gas e petrolio.

(Foto: AFP/SIR)

Adesso la scelta di Trump di stracciare l’accordo nucleare con l’Iran indebolisce ulteriormente l’alleanza con la Turchia”. A complicare ulteriormente la partita è la vicenda del pastore evangelico Andrew Brunson, in carcere in Turchia dall’ottobre 2016 con l’accusa di complicità nel fallito colpo di stato del luglio dello stesso anno organizzato, secondo Erdogan, dall’imam e miliardario turco, Fetullah Gulen, in esilio negli Usa dal 1999. Ankara ha sempre chiesto l’estradizione del religioso agli Usa che l’hanno sempre negata per mancanza di prove. Chiaro il tentativo turco di avere Gulen in cambio di Brunson.

“La politica di Trump – aggiunge Gasparetto che, tra le altre cose, è autore di una monografia dal titolo “La Turchia di Erdogan e le sfide del Medio Oriente. Iran, Iraq, Israele e Siria” (Carocci, 2017) – è quella di fare pressione sul suo collega turco perché chiarisca da che parte stare, se andare con la Russia, con la Cina, o piuttosto restare nella Nato”. Su quest’ultimo punto l’analista evidenza l’ambiguità turca:

“uscire dalla Nato è difficile e nonostante ciò Erdogan sta mettendo a dura prova questa partnership da sedici anni, da quando cioè è salito al potere”. Ne è un’ulteriore riprova “l’intenzione turca di acquistare il sistema missilistico di difesa S-400 dalla Russia”.

Una provocazione per gli altri Paesi membri della Nato e una scelta non priva di rischi: per la Turchia, aggiunge Gasparetto, “transitare sotto l’ombrello russo vuole dire rischiare di essere alla mercé di Putin, oggi il vero stratega del Medio Oriente, che con la sua presenza ha sopperito all’assenza e al ritiro americano”.

Altri scenari. La Turchia di Erdogan, nonostante un’economia in bilico e soggetta a speculazioni, “ha deciso di prendere consapevolezza di se stessa sugli scenari internazionali e di non guardare più solo all’Europa, all’America e alla Nato – storiche alleanze strategiche – ma ha deciso di seguire una politica estera a geometria variabile che guarda ad altri scenari e a intese politiche ed economiche ed energetiche con altri Paesi”. Tra questi il Qatar con cui, afferma l’analista, “c’è un’intesa per investimenti di 15 miliardi di dollari”. La possibilità che la Turchia “possa allontanarsi dai circuiti occidentali e legarsi ad altri Paesi come Cina, Russia e Qatar è reale”. Al tempo stesso, conclude Gasparetto,

“la crisi in atto conferma quanto sia strategica la Turchia per l’Occidente e per l’Ue

in particolare. Non dimentichiamo, infatti, che non tutti stanno con Erdogan. C’è una Turchia che vuole entrare in Europa e lo chiede a gran forza all’Ue”.

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