Bruno Desidera

Sono passati cinquant’anni da quello storico evento ecclesiale: la seconda Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano, che si tenne a Medellín, in Colombia, dal 26 agosto all’8 settembre 1968. Anni lontani, ma legati con un filo rosso all’attuale pontificato di Francesco, il primo Papa latinoamericano. Nel nome dell’idea che la Chiesa dev’essere “povera e per i poveri”. Quell’esperienza verrà attualizzata dal 23 al 26 agosto, proprio a Medellín, attraverso il convegno “Medellín cinquant’anni: profezia, comunione, partecipazione”, promosso dal Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), dall’arcidiocesi di Medellín, dalla Clar (il coordinamento latinoamericano dei religiosi e delle religiose) e dalla Caritas latinoamericana.Quella stagione, dunque, ha ancora qualcosa da dire. Non solo all’America Latina, ma a tutta la Chiesa. Ne è convinto il grande teologo argentino Juan Carlos Scannone, gesuita, insegnante e amico di Papa Bergoglio.

Professor Scannone, è ancora attuale quella storica Conferenza di cinquant’anni fa? E quali frutti ha portato?
La conferenza di Medellín è strettamente legata all’esperienza del Concilio Vaticano II e riprese in mano il tema dei poveri e dell’opzione fondamentale per i poveri nella Chiesa. Bisogna dire che questo non era stato un tema chiave nel dibattito conciliare, ma tale opzione emerse a Medellín come un “segno dei tempi”, a partire dai peccati strutturali, dalla povertà ingiusta, dagli squilibri crescenti.

Fu in quell’occasione che si recuperò l’idea di san Giovanni XXIII di una “Chiesa dei poveri”, o, nel linguaggio di Francesco, di una “Chiesa povera per i poveri”, valida per tutta la Chiesa con i suoi gesti e le sue parole e al tempo stesso strettamente legata alla realtà dell’America Latina.

Quell’idea si prolunga negli anni fino alla Conferenza di Aparecida e poi, oggi, in Papa Francesco, che sta cercando di tenere viva questa idea guida proponendola a tutta la Chiesa.

In molti casi la situazione in tanti Paesi dell’America Latina, per quanto riguarda povertà, violenza, squilibri, resta drammatica…
Sì, abbiamo non solo situazioni di povertà economica, ma di ingiustizie politiche e sociali, soprattutto c’è una grande diseguaglianza. E insieme c’è il tema della “Casa comune”. Papa Francesco ha messo molto bene in evidenza che quella ambientale e quella sociale sono due facce di un’unica crisi, causata da un paradigma tecnocratico, basato sullo sfruttamento. A questo modello va contrapposto il paradigma dell’autenticamente umano. Tutto il mondo oggi desidera libertà, uguaglianza, rispetto dei diritti umani. Pensiamo alle rotte dei migranti e dei rifugiati e ai popoli che soffrono la guerra, come la Siria. Va sottolineato con forza che siamo tutti fratelli, figli di Dio, chiamati a custodire la Casa Comune.

Alla Conferenza di Medellín viene spesso associata la Teologia della Liberazione. Anche lei vi aderì, ma seguendo una “via argentina” che non sceglieva gli strumenti di analisi del marxismo. Ce ne può parlare?
La Teologia della Liberazione parte dall’opzione preferenziale per i poveri. Nel conoscere la realtà, in quella che era chiamata la fase del “vedere” (nella tradizionale tripartizione metodologica che conteneva le successive tappe del “giudicare” e dell’“agire”, ndr) ci si avvaleva della mediazione delle scienze sociali. Qualche teologo applicò in questa fase l’analisi marxista della realtà.

In Argentina abbiamo percorso un’altra strada, non abbiamo fatto ricorso al marxismo e neppure al liberalismo.

Abbiamo piuttosto rivolto il nostro sguardo verso la cultura popolare e verso la nostra storia latino-americana, ma senza mettere in discussione la centralità dell’opzione per i poveri. Si è trattato di una linea propria, promossa attraverso la Coepal (Commissione episcopale di pastorale), in collegamento con la cattedra nazionale di sociologia dell’Università di Buenos Aires. Questa teologia guardava al popolo, mettendo insieme la visione conciliare della Chiesa come popolo di Dio con i popoli della terra. Un’impostazione che ha sicuramente influenzato Papa Francesco, sulla scia di intellettuali come Lucio Gera, teologo del Concilio e protagonista alle Conferenze di Medellín e Puebla, e Rafael Tello. Papa Bergoglio ha scritto la prefazione di un libro su Tello tradotto anche in italiano.

Mi permetto di chiederle un ricordo personale. Dove si trovava, padre Juan Carlos, quando fa celebrata la Conferenza di Medellín. E come la accolse?
Alla fine del 1967 tornai da Monaco di Baviera, dove avevo completato il mio dottorato in filosofia. Ricordo che fin da subito colsi la ricchezza di quanto vissuto durante la Conferenza e dei suo contenuti. Nel 1972 partecipai a una conferenza in Spagna a El Escorial, al posto di Lucio Gera che era stato invitato e dovette disdire all’ultimo momento. In quell’occasione presentai la Teologia del pueblo e le critiche all’adozione dell’analisi marxista nel momento del “vedere”. A partire dal 1973, iniziai a collaborare con il Celam e ho collaborato alla preparazione delle successive Conferenze della Chiesa latinoamericana: Puebla, Santo Domingo e Aparecida.

Negli ultimi mesi c’è stato un notevole fermento attorno al 50° della Conferenza di Medellín, e nella città colombiana si tiene un convegno promosso dal Celam. È soddisfatto di questa vivacità?
Sì, si tratta di incontri molto positivi, che ci riportano allo spirito di Medellín, all’opzione per i poveri, al loro diritto ad avere “tierra, techo y trabajo” (terra, casa e lavoro). Al tempo stesso, prendiamo coscienza delle sfide di oggi, come la custodia della Madre terra, il fenomeno delle migrazioni, le guerre che insanguinano il mondo. E su questo maturiamo un comune sentire.

C’è qualche figura, qualche vescovo, tra i protagonisti della stagione di Medellín che vorrebbe venisse maggiormente ricordato e che sogna di vedere sugli altari?
So che il Celam sta preparando una pubblicazione sui “padri della Chiesa latinoamericana”, li definisco anch’io così. Ce ne sono diversi… Per esempio il cardinale argentino Eduardo Pironio, che fu vescovo di Mar del Plata, presidente del Celam e poi ebbe vari incarichi in Vaticano. Per lui è stata aperta da tempo la causa di beatificazione. Ricordo anche dom Luciano Pedro Mendes de Almeida, gesuita, che fu arcivescovo di Mariana e, segretario generale e presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, che diede un contributo molto importante alla Conferenza di Santo Domingo… e poi lo stesso mons. Oscar Romero. Ancora, tra i partecipanti alla Conferenza di Medellín, voglio ricordare mons. Leonidas Proaño, ecuadoriano, e mons. Marcos Mc Grath, panamense, che assieme a Pironio elaborò alla Conferenza la parte sui “segni dei tempi”. Ma accanto ai padri della Chiesa latinoamericana, vorrei ricordare Papa Paolo VI, che sarà canonizzato il 14 ottobre. Fu lui ad aprire la Conferenza di Medellín e a scrivere la “Populorum Progressio”.

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