Massimo Gandolfini

Un giorno di qualche anno fa, venni contattato da don Antonio Lanzoni (vicepostulatore della causa di canonizzazione di Paolo VI), che mi propose di studiare il caso di una guarigione particolarmente significativa: una donna, gravida in età abbastanza avanzata, che stava portando avanti una gravidanza “senza speranza” aveva chiesto l’intercessione di Paolo VI, allora già Beato, il “papa della vita”, con preghiere, suppliche, novene e un pellegrinaggio di fede al Santuario delle Grazie, a Brescia. La bimba e la mamma, mi raccontava ancora don Lanzoni, “incredibilmente” avevano superato tante difficoltà e la piccola era nata sana, senza malformazioni. Capii che si trattava di un caso davvero eccezionale e decidemmo di procedere lungo l’iter canonico necessario, che ha portato alla decisione ultima di papa Francesco. Dunque, Papa Paolo VI sarà dichiarato “santo” il prossimo 14 ottobre e la Chiesa universale potrà venerarlo veramente come il patrono della “vita nascente”.

Per questo miracolo e per quello che portò alla beatificazione, entrambi i miracoli rivolti a una vita prenatale, senza dimenticare il grande impegno apostolico che Papa Montini ebbe per la trasmissione della vita, il “mio” Paolo VI è un papa “Magno”, alla stregua dei grandi Leone o Gregorio, un vero “defensor fidei” – oserei dire contro tutto e contro tutti, o quasi: basti pensare al Concilio Vaticano II, alla Populorum Progressio (in epoca in cui il materialismo ateo e marxista stava invadendo il mondo), alla lettera agli “uomini delle Brigate Rosse” (modello di fede incrollabile di fronte ad un dolore umano straziante) e, soprattutto, alla Humanae Vitae, l’enciclica che gli costò lacrime e sangue. Non è certamente mio compito entrare in particolari valutazioni, teologiche o pastorali, su quest’enciclica tanto “discussa”, allora come ora.

Una vera “pietra d’inciampo” per chiunque si avventuri nel campo minato di un adeguamento della Chiesa alla mentalità del tempo, ai costumi che evolvono, alla presa di coscienza che “ormai così fan tutti” e che, quindi, “bisogna adeguarsi”. Soprattutto fuori, ma molto anche dentro alla Chiesa, egli ebbe il coraggio di opporsi e contrastare una mentalità materialista/edonista che pretendeva o chiedeva di dare una lettura nuova, al passo coi tempi, della morale sessuale. Dichiarando con autorità magisteriale, che il significato unitivo e procreativo dell’atto sessuale sono inscindibili, Paolo VI fu davvero un “profeta”. Intuì in modo sapienziale – cioè ricco di quella sapienza che siede accanto a Dio in trono, che non ha nulla a che fare con la cosiddetta sapienza contingente e spesso utilitarista degli uomini – che da quella invocata scissione dei due aspetti poteva generarsi ogni abuso in tema di sessualità e affettività. Dietro e dentro il tema della contraccezione Paolo VI intuì che era in gioco l’essenza stessa del rapporto fra il Creatore ed il creato, fra Dio e l’uomo, fra il Maestro e il discepolo, fra la libertà e l’arbitrio, fra la ragione che discerne fra bene e male, e l’autodeterminazione che non tollera alcun limite. Ma è in gioco anche il futuro della Chiesa, custode privilegiata del mistero della vita. Paolo VI ne era profondamente consapevole e – come tutti i veri profeti – sopportò dolori spirituali enormi, al servizio di una Verità integrale sull’uomo che non poteva piegarsi alla moda del “mondo”.

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