DIOCESI – Pubblichiamo l’omelia pronunciata dal Vescovo Carlo Bresciani in occasione della celebrazione del Corpus Domini.

Vescovo Bresciani: “Siamo alla conclusione dell’anno pastorale che ci ha visti impegnati a rimeditare il cammino del popolo eletto verso la terra promessa e la sua liberazione dalla schiavitù per la potente mano di Dio e con l’aiuto di Mosè. Il cammino del popolo eletto sotto molti aspetti è analogo al cammino della Chiesa, popolo convocato da Dio a liberarsi da ciò che nel mondo è male e provoca schiavitù e a diventare sempre più un popolo libero, appunto.

Che cosa significa essere popolo? Non basta essere assieme o vivere sulla stessa terra per essere popolo. Si può vivere uno accanto all’altro, vivere nello stesso condominio o nello stesso Paese e non avere alcun sentimento di appartenenza reciproca. Si è popolo solo quando ci si riconosce reciprocamente, si hanno valori condivisi, si vive sotto una stessa legge e ci si nutre di una stessa cultura.

Si tratta di cose che tutto il popolo d’Israele doveva acquisire per uscire veramente dalla schiavitù e il suo cammino è stato lungo. Si deve imparare ad essere popolo e non è un fatto acquisito una volta per sempre. I popoli possono anche decadere e dissolversi e questo avviene quando si pensa che non sia più necessario avere valori condivisi e quando ognuno pensa solo al particolare e ai propri interessi di parte. Allora trionfa l’egoismo e l’egoismo, da sempre, divide, contrappone, porta a perdere progettualità comuni a lungo termine, porta a chiusure che estinguono la linfa vitale del popolo.

Che cosa significa tutto questo per la solennità che come città stiamo celebrando? Se vogliamo essere popolo, e popolo di Dio in particolare, dobbiamo ritornare ad attingere sempre di nuovo alla logica dell’eucaristia i grandi valori in grado di dare senso e prospettiva futura al nostro essere insieme. L’eucaristia non solo ci richiama al fatto che siamo un corpo solo in Cristo (noi che mangiamo di un solo pane siamo un corpo solo: cfr. 1Cor 10, 17), siamo popolo di Dio, ma lo siamo solo se quei valori che l’eucaristia ci presenta diventano valori condivisi e vissuti.

L’eucaristia ci fa fare memoria che Gesù ha dato la sua vita non per interessi o capricci personali, ma per noi, per farci popolo di Dio: ci insegna così quale è la strada maestra da percorrere per costruirci veramente come un popolo e come popolo di Dio in particolare.

Mosè in questo è la figura di Gesù: ha guidato il popolo attraverso il deserto, ha dato la sua vita intera per insegnargli ad essere popolo e alla fine, senza riuscire a godere, se non vedendo da molto lontano, la meta quasi raggiunta, sparisce totalmente al punto che non si è mai saputo neppure dove sia stata posta la sua tomba. Che cosa ha guadagnato Mosè? Nulla personalmente, non ha costruito un regno per sé, e neppure per i suoi eredi; solo la gioia di aver agito bene per il suo popolo e di aver creato, con l’aiuto di Dio, qualcosa di molto grande e meritevole. Non può essere diversamente per chi vuole essere vera guida.

L’ideale economico o il guadagno personale, per quanto importanti, sono ideali troppo piccoli e fragili per dare senso alla vita personale, sono estremamente piccoli e limitati per dare unità ad un popolo. Un uomo buono è molto meglio di un uomo ricco. Un popolo buono è molto meglio di un popolo ricco. Ciò che fa la bontà di un uomo o di un popolo non è la ricchezza economica. La promozione dei diritti individuali, per quanto possano essere giusti, da sola non basta a costruire un popolo, perché essi, da soli, chiudono gli individui su se stessi e sul proprio particolare: per essere popolo sono necessari valori che vadano oltre il gretto ed egoistico io. E a questo ci guidano i comandamenti. Per questo Dio dona i comandamenti agli Ebrei in cammino verso la terra promessa: glieli dona, perché sono la via da vivere insieme per diventare un popolo veramente libero.

Un popolo non è fatto dalla somma di piccoli o grandi egoistici io, ma dalla capacità di andare oltre l’io e di riconoscere l’altro costruendo insieme ciò che va oltre l’io e il tu: appunto il noi. Se si sostituisce Dio con l’io, il respiro di un popolo diventa quanto meno affannoso e si perde il valore del legame che ci unisce.

L’eucaristia ci insegna questo e proprio per questi valori contiene un altissimo significato sociale e anche politico, indispensabile per qualsiasi popolo.

Gesù ci insegna ad avere un grande amore per qualsiasi persona.

Egli non fa preferenza di persone, ma ricorda, con il dono del suo corpo e del suo sangue, che nessuno vive per se stesso, per affermare se stesso, il proprio potere o il proprio interesse. Con questa logica, non solo si frantumerebbe qualsiasi corpo sociale e si finirebbe nell’incomunicabilità tra le parti, ma alla fine da questa frammentazione nessuno ci guadagnerebbe, neppure l’io.

L’eucaristia ci ricorda che siamo un corpo solo e che, come nel corpo umano, ognuno di noi deve avere il senso del tutto e prestarsi al suo servizio. Siamo un corpo solo come Chiesa, ma lo siamo anche come popolo e siamo chiamati a vivere la logica eucaristica sia nella Chiesa che nel mondo.

Questo cerchiamo di vivere e vogliamo dire portando l’eucaristia solennemente in processione attraverso le vie della nostra città”.

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