Bruno Desidera

“Qui ci stiamo tutti giocando la pelle. Questa non è l’ora e questo non è il momento di una falsa neutralità. Chi rimane neutrale, in realtà, ha già scelto. E chi non esprime il suo pensiero, in realtà ha già deciso”. Parole nette, quelle che mons. Rolando José Álvarez Lagos, vescovo di Matagalpa, in Nicaragua, trasmette al Sir. Espressioni che esprimono bene la posizione assunta dalla Chiesa nicaraguense, proprio nel momento in cui il fragile filo del dialogo sembra precipitare, con il ritorno della feroce repressione governativa.
L’altra sera le forze speciali a Managua hanno aperto il fuoco contro la manifestazione promossa dalle mamme delle vittime delle repressioni dello scorso aprile. Secondo il Cenidh, il Centro nicaraguense per i diritti umani, che ieri ha trasmesso una nota, le vittime sono state 6, tra cui un ragazzo di 15 anni; i feriti 47. Altra violenza si è registrata nella città di Estelí (4 morti e 32 feriti) e Masaya (un morto). Ieri alcuni feriti sono deceduti e il bilancio è salito a 15 vittime, che portano il bilancio ufficioso di questo mese e mezzo di proteste a 105 morti.
Mons. Álvarez parla così mentre gli facciamo notare il coraggio mostrato qualche settimana fa, quando in uno dei momenti più bui della repressione, che aveva colpito la città di Sebaco, nella sua diocesi, non ha esitato a scendere per le strade insanguinate in processione con il Santissimo sacramento, subito seguito da una folla di fedeli. E tanto coraggio servirà ancora, visto che proprio ieri il vescovo di Matagalpa ha denunciato minacce alla diocesi e alla radio diocesana.

I vescovi sospendono il Dialogo nazionale. Durissimo il comunicato diffuso ieri dalla Conferenza episcopale nicaraguense (Cen) e firmato da tutti i vescovi del Paese, dopo l’attacco di mercoledì: “Noi vescovi condanniamo tutti questi atti di repressione da parte di gruppi vicini al Governo e vogliamo mettere in chiaro che non si può riaprire il tavolo del Dialogo nazionale mentre si continua a negare al popolo del Nicaragua il diritto a manifestare liberamente, e si continua a reprimere e a uccidere”.

I vescovi parlano di “violenza inumana” e condannano “energicamente tutti questi fatti violenti contro l’esercizio della libera manifestazione pacifica”,

portati avanti attraverso “questa aggressione organizzata e sistematica contro il popolo”.

Alcuni manifestanti sono stati ospitati e soccorsi nella cattedrale di Managua e alcuni gruppi di campesinos provenienti da fuori città sono stati accompagnati nei loro paesi di provenienza da un’improvvisata “scorta” formata da sacerdoti dell’Arcidiocesi. La scorsa settimana erano già state sospese le sessioni plenarie del Dialogo nazionale su indicazione della Cen, che aveva accettato il difficile compito di mediatrice e osservatrice rivoltole dal presidente Daniel Ortega. Era stato un piccolo “miracolo” vedere riuniti allo stesso tavolo il presidente Ortega, da settimane contestato soprattutto dai giovani, i vescovi, rappresentanti di studenti, contadini, imprenditori, organizzazioni sociali. Tuttavia, i colloqui si sono interrotti non appena si è iniziato a fare sul serio. I vescovi avevano allora suggerito una Commissione mista di tre rappresentanti del Governo e di tre rappresentanti dell’Alleanza civica per la giustizia e la democrazia (cioè il coordinamento della società civile) per superare l’impasse, dato che il Governo chiedeva la sospensione immediata degli scioperi nel Paese, mentre l’Alleanza civica chiedeva una discussione immediata dell’agenda per la democratizzazione del Paese. Ma ora anche questa prospettiva torna in alto mare.
“C’è un’escalation di violenza – dice mons. Álvarez, uno dei vescovi che ha preso parte alle sessioni del Dialogo -. Per come la vedo io, ci sono gli studenti universitari e una società civile forte e grande, che chiede giustizia e democratizzazione. Però credo che sia da una parte che dall’altra si siano uniti gruppi estranei alle proposte civiche ed estranei all’atteggiamento che il Governo deve avere. Così si spiegano la repressione, le forze di para-polizia e forze speciali che attaccano”.

Indignazione e pressione internazionale. Sale intanto, sia nel Paese che all’estero, l’indignazione e la pressione. In un comunicato l’Università Cattolica dell’America centrale (Uca), gestita dai Gesuiti (che mercoledì sera ha aperto i cancelli dell’ateneo per accogliere i manifestanti in cura e soccorrere i feriti) solidarizza con la “giusta lotta” del popolo e chiede agli organismi che difendono i diritti umani, “sia nazionali che stranieri, a prendere coscienza di questa situazione che mette in grave pericolo la vita dei cittadini e a mettere in atto meccanismi di protezione dei diritti umani”.

L’Alto Commissariato per i diritti umani della Nazioni Unite ha scritto in un comunicato: “Condanniamo energicamente il livello di violenza verso migliaia di persone che marciavano pacificamente per il ristabilimento di giustizia e democrazia in Nicaragua”.

La Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) ha annunciato la creazione di un gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti per indagare su quanto è accaduto e sta accadendo in Nicaragua. La stessa Commissione ha annunciato di aver preso provvedimenti per garantire sicurezza e incolumità al vescovo ausiliare di Managua, mons. Silvio Báez, particolarmente esposto nella difesa dei manifestanti. Quante sono le prospettive di tornare al dialogo? Ad oggi non molte, anche se la speranza non si spegne. In ogni caso l’eventuale agenda, conclude mons. Álvarez, “prevede la democratizzazione e diritti umani”.

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