Di Daniele Rocchi

“Mai come ora non dobbiamo stancarci di tenere le braccia levate al cielo per chiedere a Dio il dono della pace e della riconciliazione”: a poche ore dalla veglia di preghiera per la pace a Gaza e in Medio Oriente, indetta per oggi pomeriggio a Gerusalemme dall’amministratore apostolico del Patriarcato Latino, mons. Pierbattista Pizzaballa, a parlare è il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton.

(Foto: AFP/SIR)

Sono ancora vive le immagini degli scontri e delle vittime nella Striscia di Gaza, avvenuti nelle ultime settimane. Una violenza che non si vedeva da tempo e che ha indotto Papa Francesco a lanciare un accorato appello all’udienza di mercoledì scorso: “Ribadisco – sono state le parole del Pontefice – che non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza. Invito tutte le parti in causa e la comunità internazionale a rinnovare l’impegno perché prevalgano il dialogo, la giustizia e la pace”.

Padre Patton, stasera la chiesa di Gerusalemme si ritrova a pregare “per la Terra Santa, per la pace di tutti i suoi abitanti, per la pace di Gerusalemme, per tutte le vittime di questo interminabile conflitto”. Alla Chiesa madre si uniranno anche tante comunità ecclesiali sparse nel mondo per un esercizio che, davanti a tanti morti, a qualcuno potrebbe sembrare inutile…
Pregare non è inutile ma è la cosa più importante e necessaria per favorire una soluzione pacifica dei problemi. Domani è Pentecoste e lo Spirito Santo è un dono per la pace, la comunione, la riconciliazione e il dialogo. E lo è soprattutto sull’onda dei fatti accaduti in queste ultime settimane.

(Foto: AFP/SIR)

“Pace, riconciliazione, dialogo” sono parole che stridono con gli scontri in Cisgiordania e i massacri, per certi versi annunciati, a Gaza…
Siamo addolorati per quanto accaduto. La morte delle persone ci tocca sempre. Faccio mie le parole di mons. Pizzaballa che, riferendosi alle violenze nella Striscia di Gaza, ha condannato ogni uso cinico di vite umane e di violenza sproporzionata, perché come si sa bene, alla fine chi ci va di mezzo e chi soffre è la povera gente. Per questo motivo chiediamo e gridiamo per la giustizia e la pace.

Le immagini delle ultime settimane, fino agli scontri mortali del 14 e 15 maggio, sembrano fotogrammi dell’eutanasia di Gaza: molti manifestanti hanno cercato di oltrepassare il confine israeliano quasi a cercare la morte piuttosto che continuare a vivere in condizioni impossibili dentro la Striscia…

Quando le persone vivono in condizioni disperate diventano disposte a tutto.

In questa situazione è necessario che dei protagonisti esterni aiutino quelli interni a dirimere i contrasti e a trovare forme di dialogo e di negoziazione. Il problema di Gaza è risolvibile nella misura in cui, anche la comunità internazionale, faccia pressione sulle parti perché favoriscano, innanzitutto, condizioni di vita più dignitose. Resta da capire che genere di mediazione sarà possibile fare ora su Gaza. Mi riferisco in particolare all’Egitto che confina con la Striscia: il presidente Al Sisi sta, infatti, mediando tra le due anime palestinesi, Hamas che governa Gaza, e l’Autorità nazionale palestinese guidata dal presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen), per arrivare ad una riconciliazione nazionale. Vedremo con quali esiti.

I massacri a Gaza e il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, voluto dal presidente Trump, sembrerebbero aver posto una pietra tombale sul processo di pace tra israeliani e palestinesi e mandato in cantina la soluzione “Due popoli, Due Stati”, sostenuta dalla comunità internazionale e dalla Chiesa stessa. Cosa pensa a riguardo?

“Due popoli, Due Stati” è la soluzione che la comunità internazionale porta avanti e che come Chiesa sosteniamo ancora. Nella politica e nella diplomazia nulla sorge e tramonta in forma definitiva. Andare verso questa direzione dipenderà molto dalle spinte internazionali.

La parrocchia cattolica della sacra Famiglia di Gaza (foto SIR/Rocchi)

A Gaza vive una esigua minoranza cristiana, poco più di 1.000 fedeli, dei quali un centinaio i cattolici. Il parroco latino, padre Mario Da Silva, ha chiesto preghiere e aiuto per la situazione drammatica in cui la popolazione gazawa è costretta a vivere.
Siamo vicini ai cristiani di Gaza che, nonostante il loro piccolo numero, portano avanti una grande missione. Penso all’impegno profuso dai missionari dell’Istituto del Verbo Incarnato che curano pastoralmente la parrocchia della Sacra Famiglia, alle suore di Madre Teresa che assistono i poveri e i più svantaggiati, le Suore del Rosario che operano nel campo dell’istruzione. Una piccola comunità che vive in un territorio da lungo tempo sofferente a causa di guerre e di emergenze umanitarie continue.

Oggi i cristiani in Terra Santa sono circa 170mila, il 2% della popolazione. Dal 1948 a oggi la loro presenza è diminuita costantemente. In che modo la minoranza cristiana affronta la sfida della pace?
Siamo una presenza minima, messa a dura prova nella vita quotidiana, che cerca di essere un segno di speranza. I cristiani favoriscono la pace se riescono a mantenere solida la posizione cristiana che rifiuta sempre e comunque la violenza e cerca costantemente il dialogo anche davanti a spiragli minimi. Sappiamo che i cristiani ammettono l’uso della violenza proporzionata come legittima difesa e non in altre forme.

È compito dei cristiani essere seme di presenza pacifica e di dialogo con tutti, nessuno escluso.

Per fare ciò è necessaria la formazione cristiana per aiutare i nostri fedeli a non cadere nella tentazione di cercare altre vie che non siano quelle dell’incontro e del dialogo. La via della non-violenza ci dona tanti esempi in diversi Paesi, Ghandi in India, Martin Luther King negli Stati Uniti, il movimento di riconciliazione in Sud Africa con Nelson Mandela.

Dobbiamo resistere alla tentazione di cercare scorciatoie violente per risolvere i problemi.

Questa è la testimonianza che i cristiani sono chiamati a dare al mondo.

Santo Sepolcro, Gerusalemme

Teme che questa situazione di perdurante tensione possa influire negativamente sull’arrivo dei pellegrini?
In questi mesi stiamo assistendo all’arrivo di tanti pellegrinaggi. Il trend è in aumento.

La presenza dei pellegrini aiuta e facilita la pacificazione. Essi richiamano l’attenzione dei loro Paesi e quindi del mondo sui Luoghi Santi. Il loro arrivo nella Terra di Gesù dice all’opinione pubblica internazionale che pellegrinare qui è sicuro, che i Luoghi Santi sono sicuri e non ci sono pericoli.

Per questo invito tutti a venire in pellegrinaggio in Terra Santa per contribuire alla pace e al sostegno delle nostre piccole ma vive comunità.

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