Diana Papa
Uno sguardo al passato, non per nostalgia, ma perché ogni avvenimento dell’oggi affonda nella storia trascorsa e contiene i germi del futuro, ci permette di rivedere alla luce del Vangelo accadimenti, stili di vita, scelte dei cristiani che hanno partecipato alla storia del 1968.

Molti sono ancora segnati da quell’esperienza, altri sono entrati nell’alveo del sistema, altri ancora conservano un ricordo di violenza. C’è chi attualmente fa memoria di quel periodo, delle difficoltà incontrate, della capacità di buttarsi anche nella mischia, per divenire protagonisti tutti insieme della storia di quel tempo.

Non era insolito allora chiedersi, come giovani cristiani, nelle parrocchie di Torino, come essere solidali con gli operai che vivevano l’autunno caldo del 1968, mentre il Cardinale Pellegrino andava verso i cancelli della Fiat Mirafiori, per ascoltare i drammi dei lavoratori che reclamavano i loro diritti esistenziali per una vita dignitosa.

Padre Pellegrino, come desiderava essere chiamato, incontrava i giovani delle varie parrocchie molto spesso e chiedeva loro una verifica sullo stile cristiano personale, sull’appartenenza alla comunità parrocchiale, sul coinvolgimento personale e di gruppo nella storia. Ascoltava… non aveva fretta, aveva sempre tempo per ogni persona di ogni età e ceto! Invitava i giovani a vivere una vita sobria, essenziale, a non vestirsi con abiti firmati, a non cercare il benessere a tutti i costi. Li aiutava, con la sua vicinanza e con i suoi interventi, ad accontentarsi anche di lavori semplici, umili, per non gravare sulla famiglia durante gli studi universitari.
Chiedeva di non rimanere su un piano teorico nelle scelte, ma di buttarsi evangelicamente nelle storie delle persone. Inculcava nei giovani il bene comune, il rispetto dei diritti personali e non individuali. Agli universitari chiedeva l’impegno nello studio non in vista del raggiungimento di un migliore stato sociale, ma come possibilità per acquisire un metodo che aiutasse a cercare e ad imparare sempre, anche criticamente, ad acquisire le competenze da mettere, in seguito, a servizio del bene di tutti, soprattutto di coloro che erano in difficoltà, spesso situati nelle periferie o ai margini della società.

Era il tempo dell’arrivo dei terremotati e degli immigrati del sud. In parrocchia i giovani organizzavano corsi per insegnare a molti a leggere e a scrivere. Altri assicuravano lezioni di recupero ai ragazzi che avevano difficoltà ad inserirsi nella scuola; alcuni aiutavano gli adulti che non conoscevano la città, a districarsi nei vari uffici per cercare il lavoro e l’assistenza sanitaria; c’era chi pitturava le soffitte spesso fatiscenti in cui abitavano stipate queste persone.

La sera in oratorio, a turno, si dedicava del tempo ai giovani immigrati o si ascoltavano i drammi delle donne o le preoccupazioni degli uomini…per loro, a San Secondo, c’era sempre una porta aperta!
Non mancavano giovani cristiani impegnati nelle fabbriche o nell’insegnamento. Alcuni insegnanti nelle scuole superiori, dove venivano organizzati i collettivi spesso per decisioni di pochi studenti, cercavano di aiutare gli studenti a fare delle scelte personali, per non lasciarsi manipolare da altri. Quante volte questi giovani insegnanti hanno pagato per il Vangelo, anche con minacce!
Si sperimentava la gioia delle prime comunità cristiane. La sera ci si trovava in parrocchia, in gruppo, per confrontarsi con la Parola e chiedere luce al Signore. Si analizzavano gli avvenimenti sociali del tempo alla luce del Vangelo, per capire come partecipare attivamente da cristiani a quella storia di cui ciascuno faceva parte. Il parroco custodiva tutti: spesso faceva cogliere l’azione di Dio in atto nella vita personale e di gruppo.
L’aiuto scambievole si concretizzava anche nel mettere insieme qualche risparmio in una cassa comune, per sostenere le varie iniziative. Ogni momento era tempo propizio per gustare con gioia l’ascolto dell’altro nel rispetto reciproco. Lo scambio era mirato alla crescita personale e di gruppo, a livello umano e nella fede.

Ognuno scopriva ogni giorno la presenza di Cristo nel gruppo.

L’incontro con lui alimentava la passione per la vita, da servire in tutte le sfaccettature. Ciascuno si impegnava a costruire un mondo umano, scegliendo costantemente di vivere con gioia il Vangelo.
L’esperienza del passato ci interroga, perché i giovani di ieri sono gli adulti del nostro tempo. Chiediamoci: dove siamo noi adulti cristiani per aiutare oggi i giovani a ritrovare la gioia di vivere? Come ci stiamo attivando perché siano protagonisti della nostra storia nel rispetto delle relazioni intergenerazionali? Dove siamo noi cristiani oggi, per costruire con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, al di là della diversità e nel rispetto reciproco, un mondo di giustizia e di pace, rispettoso di ogni persona e del creato? Il vuoto lasciato nella società dai cristiani oggi ci interpella…

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