Vito Angiuli

Le immagini che ritraggono Papa Francesco presso la tomba di don Tonino sono molto evocative ed eloquenti. Non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro, tanto grande è il loro valore simbolico. Tuttavia, non si può fare a meno di proporre una sintesi del discorso attraverso quattro parole usate dal Pontefice: la finestra, il grembiule, la fragranza, il tabernacolo.

La prima parola, la finestra, indica la prospettiva fondamentale della missione della Chiesa.

Per Papa Francesco e per don Tonino bisogna ripartire dagli ultimi; non dal centro, ma dalla periferia, dalla “fine del mondo”. In questo senso, il Sud, da cui entrambi provengono, da territorio geografico e ambiente di vita, diventa una categoria simbolica, un “luogo paradigmatico dove si manifestano gli stessi meccanismi perversi che, certamente in modo più articolato, attanagliano tutti i Sud della terra” (A.Bello, Il pentalogo della speranza, in Id., Scritti vari, interviste aggiunte, vol. VI, Mezzina Molfetta, 2007, p. 252). In quanto terra di periferia, il Sud rappresenta la particolare angolazione da cui guardare la storia, non come luogo della subalternanza, ma come luogo di liberazione e di riscatto. Si avverte “il bisogno di uscire dalle vecchie aree dell’individualismo per aprirsi a orizzonti di comunione. C’è un’istintiva disponibilità all’accoglienza del diverso. Non per nulla il Mezzogiorno è divenuto crocevia privilegiato delle culture mediterranee, vede moltiplicarsi al suo interno le esperienze di educazione alla pace, si riscopre come spazio di fermentazione per le logiche della nonviolenza attiva, avverte come contrastanti con la sua vocazione naturale i tentativi di militarizzazione del territorio e vi si oppone con forte determinazione” (A.Bello, La profezia oltre la mafia, in Id., Scritti di pace, vol. IV, Mezzina, Molfetta 1997, p. 280).

La seconda parola, il grembiule, indica lo stile pastorale che deve animare la Chiesa nel suo andare incontro al mondo.

Nel grandioso avvio della costituzione pastorale, Gaudium et spes, don Tonino scorge la volontà della Chiesa di condividere le sorti del mondo (Cfr. A. Bello, Cirenei della gioia, in Id. Scritti mariani, lettere ai catechisti, visite pastorali, preghiere, vol. III, Mezzina, Molfetta 2014, pp. 228-230) senza creare “aneliti paralleli, ansie simmetriche, tensioni bilaterali, attese diverse: da una parte quelle del mondo, dall’altra quelle della Chiesa. No! Le speranze universali degli uomini sono le stesse coltivate dai credenti, anche se queste, giunte ai confini del tempo, sfondano il muro e si prolungano verso l’ulteriorità” (A. Bello, Squilli di trombe e rintocchi di campane, in Id., Scritti mariani, cit., p. 233).

La terza parola, la fragranza, richiama l’identità ecclesiale.

Come viene esplicitato in Gaudete et exsultate, pur rimanendo un cammino personale, l’identità cristiana ha sempre una “dinamica popolare” (n. 6). Occorre cioè “profumare di popolo”. Don Tonino ha sintetizzato il suo ministero episcopale con queste parole: «Ho sperimentato una grande passione per il popolo. Mi è sempre piaciuto stare in mezzo alla gente. Introdurre nel grande episcopio di Molfetta la gente che era diseredata, senza casa, povera, non per smania di esibizionismo [….] mi sentivo a mio agio, mi sentivo più in sintonia col mio ministero» (A. Bello, Chiesa di parte, Chiesa dei poveri, in Id., Scritti vari, interviste, aggiunte, cit., p. 508).

La quarta parola, il tabernacolo, indica la via della santità.

Per questo, a conclusione del suo discorso, Papa Francesco ha insistito nel non separare la preghiera dall’azione, ma ha messo in guardia dall’immergersi nel vortice delle faccende senza piantarsi davanti al tabernacolo. Esattamente come diceva don Tonino secondo il quale non si può servire il “Signore del tabernacolo” senza servire il “tabernacolo del Signore” (A. Bello, Il tabernacolo del Signore. Ai piedi della croce, Ed Insieme, Terlizzi, (BA).2002, p. 20) .

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