“Siamo in una fase in cui il governo ha molti problemi: il primo ministro è stato deposto dalla Corte suprema e siamo in attesa delle elezioni. Quindi non è il momento giusto per parlare di una visita del Papa in Pakistan”. A parlare in una intervista è mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, all’indomani della visita ad limina in Vaticano, giovedì scorso. La minoranza cristiana in Pakistan continua a soffrire a causa dell’insicurezza, della legge sulla blasfemia, in una situazione politica di incertezza finché non si sapranno i risultati delle elezioni presidenziali previste nel mese di luglio.  “Quest’anno abbiamo le elezioni non sappiamo cosa aspettarci perché ci sono molti problemi – spiega mons. Coutts -. Non emergono leader forti e saggi. Non sappiamo che direzione prenderà il Paese. In questo momento ci sono due grandi partiti politici, quello al governo e quello che governava prima, ma il quadro non è ancora chiaro. Appena tornati in Pakistan ci incontreremo per parlare della situazione nazionale. In quell’occasione è probabile che faremo una nota”. Intanto la legge sulla blasfemia continua a mietere vittime: “I casi sono tanti, è un grande problema, perché chiunque può usare la legge come pretesto per mettere nei guai qualcuno. Ed è molto difficile provare la propria innocenza”. A livello politico una possibile abolizione della legge “è un obiettivo lontano – precisa -. Perché i gruppi estremisti sono diventati molto forti, sono ben armati e pronti ad attaccare. Anche per il governo è difficile controllarli”.  Quindi nemmeno il caso di Asia Bibi, la donna cristiana madre di 5 figli condannata a morte, è vicino ad una soluzione, “perché è diventato un caso politico”. Giorni fa sono stati anche celebrati i 7 anni dall’assassinio di Shahbaz Bhatti, il ministro per le minoranze religiose ucciso ad Islamabad per il suo impegno contro la legge sulla blasfemia. Mons. Coutts lo descrive come “una persona onesta e molto coraggiosa”, un esempio per la Chiesa del Pakistan. Ma “il processo di canonizzazione non sarebbe facile”, confida: “Io ho avviato la procedura perché ero nella diocesi di appartenenza della famiglia di Shabaz Bhatti ma non rappresento l’autorità competente: la pratica per dimostrare il martirio deve partire dal vescovo della diocesi in cui venne ucciso, ossia Islamabad; ma anche il vescovo di Islamabad è morto un anno fa. Il nuovo vescovo è arrivato solo il mese scorso, deve ancora capire come ricominciare di nuovo. I tempi non saranno rapidi”.

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