Di Don Marco Pozza

Fare-pellegrinaggio in Terra Santa è ficcare il naso dentro la faccenda di Cristo, la più bella di quelle a disposizione dell’uomo: “E’ accaduta, accadrà. Sta già accadendo, guardala!”. Il cristianesimo non è per il gusto dell’amarcord di un avvenimento: è la riedizione in presa-diretta di un incontro che è stato capace di rivoltare la storia di quaggiù come fosse un calzino. Poggiandosi su prospettive che, ai più, parvero scandalose: “Non vivere, ma morire – scrive Paul Claudel – e non digrossar la croce ma salirvi, e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna”. Parole crude, nude, acetose se non fosse che all’uomo non ne sono state date in dote altre che non l’abbiano lasciato poi per strada. I nostri pellegrini questo sabato sono nelle zone limitrofe a Cafarnao: terra di annunci, di sorprese, di incontri. D’inattesi desideri: “Signore, vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,20-33). Nel cuore di ogni uomo giace, pur nascosto, il desiderio di vedere Dio: Lo si potrà anche rimandare a casa, ma solo dopo averlo conosciuto, fronteggiato quella forza d’urto che Gli era propria, che Gli usciva da quello sguardo eccitato.

I Greci erano tutti uomini che cercavano la sapienza, la andavano stanare nei più piccoli dettagli, nelle lievi sfumature del mistero.

Alla loro sapienza Cristo propose, in alternativa, la stoltezza della croce, la drammaturgia del chicco di grano:

“Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane da solo”. Non c’è nulla di più luciferino del tornare a casa la sera e accorgersi che nessuno è lì ad aspettarti. Anche il contrario: “Se invece muore, produce molto frutto”. Colpì quell’annuncio di morte: morire è verbo di caducità, le tinte sono fosche, la sua storia ha come melodia di sottofondo il suono lento, funebre delle campane. Per questo Cristo piantò la tenda nell’altro verbo, quello che al lettore distratto non è subito sotto lo sguardo: “produrre”. Se muore, produce: se non muore, soffrirà il peso della solitudine. Produrre è verbo-gravidanza, ha connotazioni artigianali, è presenza di qualcosa che prima non c’era, adesso c’è. E’ conseguenza di una morte: qualcosa è morto per far nascere qualcos’altro. E’ l’ora per la quale è venuto al mondo Cristo, che adesso ha paura di morire. Lo lasceranno solo come un cane: “Adesso l’anima mia è turbata (…) Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora”. Morendo, sarà il più solo di tutti i solitari della storia. Dentro quella morte, Lui solo c’intravede la primavera di un’avventura inimmaginabile.

Gli chiedono chi Egli sia, Lui risponde guardando per terra, costringendo a guardare per terra: “Se volete capirmi, guardate il chicco di grano!”.

Certi misteri o si è disposti ad inginocchiarsi per scoprirne il volto, o rimarranno per sempre a noi ignoti.

Inginocchiarsi è verbo di piegamento, azione non-automatica, gesto a trazione verso il basso. S’inginocchia, dunque, chi ha così tanta sete da mettere la bocca alla sorgente, quasi all’altezza della terra stessa. Per terra: “‘Venni tra loro e li trovai tutti ubriachi. Nessuno di loro aveva sete’. Questa è la tranquillità che non va!” (L. Giussani). A Cafarnao, sulle sponde di quel mare amico, Cristo ai suoi non ha mai mentito: “Sarò gettato fuori. Ma quando m’innalzerò in alto, vi attirerò tutti a me”. Altrove giurò, com’era vero che esisteva Dio, che avrebbero voltato lo sguardo verso Colui che stavano trafiggendo. Gli diedero del matto: lo capirono dopo. Non c’è amore che, mentre compie le operazioni di seduzione, si lasci riconoscere: non c’è seduzione senza sorpresa. Tutto chiaro, quasi.

A Cafarnao e dintorni, terra di annunciazioni, la storia venne scritta con lo sguardo: perché ci sono parole, a volte, che non dicono niente. Sguardi, invece, che dicono tutto. Sguardi-parlanti che, in un chicco di grano, sanno intravedere la traiettoria dell’intera storia universale. Storia di salvezza, pure di dannazione.

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