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I 33 giorni di Giovanni Paolo

Fabio Zavattaro

Venti giorni dopo la morte di Montini, il 26 agosto, viene eletto Papa il patriarca di Venezia, Albino Luciani, primo Papa a scegliere il doppio nome: Giovanni Paolo. Sarà lui stesso a spiegarlo, e non nel plurale maiestatis usato fino a quel momento dai Pontefici: Giovanni come il suo predecessore nella sede di Venezia, e Paolo come Papa Montini che in piazza San Marco “mi ha fatto diventare tutto rosso davanti a 20.000 persone, perché s’è levata la stola e me l’ha messa sulle spalle, io non son mai diventato così rosso”. Ma dirà anche di non avere la “sapientia cordis di Papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di Papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero mi aiuterete con le vostre preghiere”. Parole che nella loro genuinità e semplicità fanno breccia nella gente, nel mondo dei media:

“Se avessi saputo che sarei diventato Papa, avrei studiato di più”.

E c’è chi dice: “C’era bisogno di un Papa sorridente”.

Si andrà poi a leggere nel suo passato, la nascita a Canale d’Agordo, presso Belluno, il padre socialista e mangiapreti, emigrato in America Latina per lavorare; la madre, molto religiosa, che educa i figli cristianamente.

In quel Conclave, molto breve – Luciani è eletto al terzo scrutinio –, il primo del 1978, partecipano 111 cardinali, solo 27 gli italiani, e per la prima volta sono applicate le norme di Paolo VI che vietano l’ingresso nella Sistina agli ultra ottantenni.

Qualche problema, infine, si è avuto con la fumata che all’inizio sembrava bianca, ma successivamente il colore variava su un grigio sempre più scuro. L’incertezza dura a lungo, fino a quando si apre la vetrata della loggia centrale e il cardinale protodiacono annuncia habemus Papam.

C’è molto di Papa Francesco in Luciani, la sua semplicità, ad esempio: la messa di inizio Pontificato sarà sul sagrato di San Pietro, ridotta all’essenziale, senza triregno, trono e sedia gestatoria. Potremmo dire con Francesco, la Chiesa in uscita. Inizierà la sua omelia in latino, la lingua della Chiesa dirà; la concluderà in francese, un saluto ai delegati delle altre Chiese – “fratelli non ancora in piena comunione” – e alle autorità politiche presenti.

Nelle quattro udienze generali parlerà del comandamento onora il padre e la madre, avviando un dialogo con il chierichetto maltese James: “Mai stato ammalato? Neanche una febbre? Oh che fortunato…”.

Negli altri tre mercoledì si soffermerà sulle virtù teologali: fede, speranza e carità. Che saranno poi le tre encicliche di Papa Ratzinger: Caritas in veritate, Spe salvi, Lumen fidei, firmata, quest’ultima da Papa Francesco, ma iniziata proprio da Benedetto XVI e poi consegnata al suo successore.

Il suo Pontificato durerà 33 giorni – “Il tempo di un sorriso” scriverà nel suo editoriale il direttore del giornale parigino Le Monde – e sarà ricordato per la recita di una poesia del poeta romanesco Trilussa su la fede – “la vecchina cieca” – e per l’affermazione che Dio “è papà, più ancora è madre”: è il 10 settembre 1978. L’Angelus è dedicato all’incontro a Camp David tra i presidenti Carter e Sadat e al premier israeliano Begin: “Di pace hanno fame e sete tutti gli uomini, specialmente i poveri, che nei turbamenti e nelle guerre pagano di più e soffrono di più”.

Lo trovarono sul suo letto la mattina del 29 settembre, tra le mani il libro delle Imitazioni di Cristo.

I medici certificarono che era morto alle 23 del giorno prima. E questo darà fiato a illazioni e ad accuse di avvelenamento. Tutto falso. La sera prima di coricarsi aveva accusato dei dolori al petto, come mi è stato raccontato dal suo segretario don Diego Lorenzi. Questi, assieme a monsignor John Magee, l’altro segretario, si offrirono di chiamare il medico, ma il Papa ordinò di non disturbarlo: “Lo chiameremo domani mattina”, dirà loro.