Marco Pozza

Nazareth, al tempo in cui accaddero i fatti che la resero celebre, era nome sconosciuto. Terra di frontiera, zona di confine, spartiacque di popoli: “Confine, diceva il cartello. Cercai la dogana. Non c’era. Non vidi, dietro il cancello, ombra di terra straniera” (G. Caproni). Quando il Cielo, divoratore di confini, mandò un messaggero a recare annuncio-di-gravidanza, ciò che trovò fu l’esatto contrario di un confine: una ragazza, Maria, prestò il suo grembo perchè l’Eterno avesse la sua pista d’atterraggio nel mondo. Pochi s’accorsero che, nella casa accanto alla loro, stava mettendo radici una storia ad altissimo indice di ambizione: oggi, ogni volta che si rimette mano al rosario, ci si riallaccia a quella vecchia storia di annunci e sorprese, di umano e divino. Di un Cielo che rende gravido lo stupore di una creatura: “L’angelo del Signore portò l’annuncio a Maria. Ed ella concepì per opera dello Spirito Santo”. A guardarla mentre le si avvicina, Nazareth oggi è ancora un pugno di case aggomitolate sul clivio della collina: botteghe aperte, strade intasate, capitelli di chiese. Il minareto, la basilica, la moschea. Pensarla terra di confine è credere per davvero che quelli che amano tracciare confini tra gli uomini sono gli stessi che, quando andavano a scuola, si vedevano negata la libertà di colorare fuori dai bordi segnati.

Nazareth è l’attestazione certa che Dio, quando vuole convertire il mondo, parte sempre dalla periferia, nascosto in storie difficilissime da prevedere, con argomentazioni così illogiche che la logica non può competere.

Salvare il mondo, per Cristo, è pitturare fuori dai bordi.
Qui, ancora oggi, campeggia il numero-civico di Maria. E’ rimasta traccia a disposizione dei cercatori di felicità: “Non esiste nessun attimo della persona e del mondo che non incida sul significato totale” (L. Giussani). Qui – mettete caso che Maria non avesse accettato – il Cielo non avrebbe potuto realizzare i suoi sogni come avrebbe voluto. Nazareth è il punto d’appoggio invocato da Pitagora per sollevare il mondo, anche il tallone d’Achille di Lucifero per il quale soccomberà. Qualche chilometro oltre, s’erge spattacolare il Tabor, la collina che può vantare un indice di luminosità secondo solamente al sepolcro-vuoto di Gerusalemme. Qui, un giorno, Cristo scorse affaticati i suoi amici a motivo delle gogliardate luride di Satana: “Vi sembra affidabile un Dio siffatto? Svegliatevi, gente!” insinuava dopo che il Cristo, per non mentire, aveva iniziato a parlare di Gerusalemme, di una Croce come forma massima del servizio, di risurrezione. Fiutò i loro cuori in bilico tra l’adorazione per ciò che prospettava loro e la fatica di credere che tutto quello si sarebbe potuto avverare. Arrestò il suo viaggio, li condusse in cima al Tabor e da lassù, dove il panorama obbliga lo sguardo ad allargarsi, dimostrò quanto è grezzo Satana: “Maestro, è bello per noi stare qui (…) Questi è il mio figlio prediletto; ascoltatelo!” (Mc 9,1-13). Quell’istante di luce bastò loro per vedersi simili a Maria:

si-sta-da-Dio quando si fa chiara la causa per la quale siamo nati, il motivo per il quale abbiamo seguito il Cristo.

Tra la città di Nazareth e la vetta del Tabor – scenografia della seconda puntata de “Le ragioni della speranza dalla Terra Santa” (sabato, Rai1, 16.15) – si dipana una storia così smisuratamente bella d’apparire incredibile, persino difficoltosa da credere. Però è accaduta, dunque è meritevole di osservazione. Sul Tabor, a due passi dalla basilica, sorge la comunità Mondo X: storie frantumate stanno riprendendo la fisionomia originaria. Il verbo “trasfigurare”, quassù, è verbo che indica lavori-in-corso. Annunciazioni di trasfigurazioni possibili. Di risurrezioni.

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