Lettera della Caritas Diocesana

DIOCESI – Mentre la cronaca di questi giorni narra di ragazzini che si divertono a strappare il bastone ad un invalido o a dare fuoco ad un senzatetto, di studenti che usano facilmente il coltello sui coetanei, di chi fa a pezzi il corpo di una ragazza e di chi spara su chi è nero… cresce la convinzione della necessità di continuare a proporre persone e pensieri che risveglino l’intelligenza e che scaldino il cuore.

Tra questi c’è senz’altro Mons. Giovanni Nervo, nato profugo nel 1918 e orfano di padre.  Avendo provato sulla propria pelle sofferenza ed emarginazione, per tutta la vita, è stato sempre vicino ai poveri. Fondatore, primo presidente della Caritas italiana, fortemente voluto dal Beato Paolo VI, ha saputo comunicare con parole dirette, sobrie e profonde, che arrivavano al cuore sia dei credenti ma anche dei non credenti, vivendo in dialogo con la Costituzione e con l’ausilio della carità e della giustizia.

Il volume “Gemme di carità e giustizia” (EDB), edito nel dicembre 2017, è un racconto autobiografico. Nella postfazione, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas Italiana, ricorda come Mons. Nervo più che all’organizzazione e alla struttura, seppur necessarie, ricordava costantemente il messaggio centrale della Chiesa, “che cioè la carità non è un optional per un cristiano e che se un giorno saremo giudicati dall’amore che abbiamo riversato su questa terra, non potremo scusarci nel dire: ‘C’era la Caritas!’”.

La fraternità, la pace, la solidarietà, il bene, la responsabilità, la carità, la fede sono la sintesi della sua vita come testimoniano i testi raccolti nel libro. Alcuni testi riletti a distanza di anni, hanno una profonda e sorprendente carica profetica. Ne riproponiamo due, uno sull’accoglienza e l’altro sull’immigrazione, che seppur scritti nel 1996 e nel 2011, sono quanto mai attuali.

Accoglienza
“Bisogna allora guardare lontano: la normalità non sarà più la situazione di prima, il futuro della nostra società non sarà come il passato, ma la nostra sarà una società multietnica, multiculturale, multireligiosa. Occorre aiutare la gente a conoscere le cause del fenomeno. Occorre perciò aiutare a capire che gli immigrati non sono solo un problema, ma anche una risorsa di cui avremo sempre più bisogno. È certo che, a livello di dirigenza politica, il fenomeno deve essere governato. Non possiamo lasciar venire chi vuole, come vuole, e abbandonare poi gli immigrati e la popolazione ad arrangiarsi nel risolvere i problemi del lavoro, dell’abitazione, dei servizi, dell’ordine pubblico. Questo è il modo di favorire il rifiuto, l’intolleranza e il razzismo. A livello locale, tutte le agenzie educative (famiglia, scuola, Chiesa, associazioni) devono promuovere l’educazione a una civile convivenza e gli enti locali devono favorire questa azione. La responsabilità di questa generazione è di creare le condizioni che facilitino una convivenza civile e serena, e di evitare di alzare muri e coltivare pregiudizi che provochino tensioni e conflitti” (La profezia della povertà. 25 anni della Caritas Italiana. Intervista di gaetano Vallini, S. Paolo, Torino 1996,119-120).

Immigrazione
“Chiudiamo per un momento gli occhi e immaginiamo quale sarà la situazione del nostro Paese fra 20-25 anni (….) il futuro della nostra società multietnica, multiculturale, multireligiosa. La nostra generazione ha la responsabilità di preparare un clima vivibile per questa società che sarà quella dei nostri figli. Ma come? Occorre non fare una cosa e invece farne un fenomeno non governato per scopo politico(….). La cosa da fare è promuovere conoscenza reciproca e rapporti. Noi di loro, dei loro Paesi, dei loro costumi, della loro economia, delle loro religioni non sappiamo niente(….). Alla luce della fede, cioè della parola di Dio, noi sappiamo che quando lasciamo fuori dalla porta un immigrato, perché non c’è posto per lui, lasciamo fuori dalla porta Gesù Cristo: “ Ero straniero e mi avete ospitato. Ero straniero e non mi avete ospitato”. Oggi, attraverso gli immigrati, il Signore ci manda dei messaggi importanti per la vita nostra, della Chiesa e della società. Significa tener conto della fede religiosa degli immigrati, non ignorarla(….). Gli immigrati dal Terzo mondo sono la missione che viene a noi, si rovescia la situazione: da quei Paesi dove la comunità cristiana mandava i missionari a evangelizzare, vengono fra i cristiani una parte di quelli che noi andiamo ad evangelizzare(….).

L’azione pastorale che i terzomondiali richiede alcune condizioni:

– che superino il complesso del ricco: impariamo che abbiamo anche noi da ricevere. È un che  non abbiamo ancora superato neppure in cosa nostra;

– la pastorale degli immigrati non si risolve con l’assistenza, anche se è necessaria: è necessario passare dall’assistenza all’accoglienza in parrocchia(….), nei gruppi, nelle famiglie, nelle istituzioni. Bisogna camminare sulla strada dell’integrazione culturale e razziale(….).

– la priorità evangelica dei più poveri qui si applica in pieno(….), sebbene spesso non siano gli ultimi nei loro Paesi;

– l’impegno pastorale per gli immigrati non può essere delegato a un ufficio – Migrantes, Caritas, Ufficio missionario – ma deve essere assunto da tutta la comunità cristiana(….).

Su questi argomenti la Chiesa è chiamata a essere sale della terra e luce del mondo e, se necessario, anche coscienza critica del mondo(….). La Chiesa è chiamata a promuovere soprattutto con i fatti una cultura e un costume di accoglienza e condivisione” ( Chiesa comunità di fede, di preghiera, di carità, Messaggero, padova 2011,92-100).

In questi giorni in cui, temi come ‘accoglienza’ ed ‘immigrazione’, rischiano di essere ridotti a merce elettorale e trattati in un clima da tifo di stadio, forse è bene tornare ad essere più ‘pensosi’, per smontare penosi luoghi comuni, promuovendo al contempo una visione più compassionevole verso chi è in difficoltà. Ogni uomo e ogni donna, come rivela la fede e la scienza, è innanzitutto un fratello, una sorella che ha la stessa ed identica nostra dignità!

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