“Sono state sollevate numerose perplessità da altri studiosi sul destino di queste cellule pluripotenti nel corpo embrionale in sviluppo dell’animale: esse potrebbero generare colonie di cellule predifferenziate e differenziate anche in organi diversi da quelli attesi per il trapianto, non escluso il cervello, suscitando gravissime preoccupazioni antropologiche ed etiche”, chiarisce don Roberto Colombo, docente della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma) e membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita commentando la notizia della pubblicazione dei dati preliminari di una ricerca nella quale sono stati prodotti embrioni ibridi interspecie, tra cui quelli di pecora che includono cellule staminali pluripotenti umane.
“Lo scopo di questi esperimenti – spiega don Colombo – è quello di verificare la possibilità di far crescere, in embrioni e feti animali, tessuti istocompatibili che compongono organi di cui vi è richiesta per i trapianti nei pazienti e scarsità di donatori umani. Le cellule staminali pluripotenti potrebbero provenire da embrioni umani cresciuti in vitro oppure dagli stessi pazienti in attesa di trapianto, e quest’ultimo caso renderebbe possibile aggirare l’ostacolo del rischio di rigetto”.
Questo però non esclude le criticità, quali appunto la generazione di cellule differenziate anche in organi diversi da quelli attesi per il trapianto.
Inoltre, conclude don Roberto Colombo, “non si deve trascurare di considerare che cellule staminali embrionali umane utilizzate preliminarmente in simili esperimenti, o come alternativa a quelle staminali multipotenti, provengono da embrioni umani generati intenzionalmente in laboratorio e distrutti per isolarne le cellule e coltivarle in vitro. E questo rende moralmente inaccettabili queste ricerche, che nessuno scopo anche molto positivo può giustificare eticamente. Altre sono le strade da percorrere per giungere a rendere disponibile un maggior numero di tessuti e organi per i trapianti”.

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