Vittorio V. Alberti

La raccomandazione

Articolo 18 della Costituzione della Repubblica: i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.

Perché questa proibizione? Ipotizziamo di non essere un popolo ma una moltitudine che un giorno decida di darsi delle regole. Si partirà da un sistema di norme comuni (costituzione) e via via si costruirà ciò che si chiama Stato. Lo Stato è pubblico perché è un ente di potere presente, operante, visibile, riconosciuto. Di qui, la proibizione delle associazioni segrete, come le mafie, e come, di fatto, è segreto l’atto della corruzione.
Dove c’è mafia c’è corruzione, perché la seconda è il primo linguaggio della prima; dove c’è corruzione non è detto che ci sia mafia, ma il raccordo tra le due – come fenomeni storici – è sostanziale, riguarda la nostra storia.

Le mafie non sono un corpo estraneo allo spirito del nostro popolo;

il sistema italiano delle professioni, delle strutture, dei poteri sui quali si regge questo Paese è strutturalmente “mafioso” nel senso oligarchico, con gradazioni più o meno intense e più o meno gravi. Pensiamo alle raccomandazioni che favoriscono l’immeritevole (ma fedele o utile a chi raccomanda), ma dalle quali deve passare anche il meritevole. La raccomandazione vale, insomma, per tutti: immeritevoli e meritevoli, anche se nella stragrande maggioranza dei casi è un abuso che moltiplica incompetenza. Ecco il circolo oligarchico che espelle l’esterno tanto più c’è solidarietà/connivenza tra interni, tra “adepti”. Questa è mentalità mafiosa, e la corruzione nella sua essenza è una sua espressione capitale. Nella raccomandazione, quindi, si saldano tali mentalità e procedure.

Un territorio per Stato e mafia

“Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”, dice Paolo Borsellino. E ancora, a un mese dalla strage di Capaci: “La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. La mafia è uno “stato” con le sue leggi, e convive con lo Stato legale, con il soggetto pubblico, sfruttandolo fino a volte a coincidervi. Un capomafia, del resto, è come un monarca con potere legislativo, giudiziario ed esecutivo, fino al potere di vita e di morte. Ha un potere dispotico, come quello tirannico che, scrive Locke, “è il potere assoluto e arbitrario che uno può avere su di un altro, di togliergli la vita quando vuole”.
La coscienza collettiva antimafia è molto progredita rispetto anche ai decenni passati. Da un lato, la coscienza del popolo ha sviluppato la cultura antimafia, dall’altro, ciò che fu la mafia, cioè un potere nato in risposta a un potere pubblico sopraffattore, costituisce ancora la forza più “credibile” e, insieme, la cultura di potere sulla quale è impostato il potere legale stesso: basta solo il dominio “degli amici degli amici” per rintracciare una mentalità corrotta e “mafiosa”. Risolvere questa dialettica è la titanica sfida culturale e politica.

Alle volte ci sono più ragioni per odiare lo Stato che per odiare un corrotto o un mafioso. Si può quindi proclamare la lotta alla corruzione e alla mafia senza prima giudicare lo Stato e la società?

In altre parole: contrastiamo la corruzione e la mafia in nome di cosa? Di uno Stato infingardo, traditore, inetto, scombinato e di una società visibile che appare ignorante, sfaldata e prevaricatrice? Dove si trova e dove trae veramente origine allora questa corruzione e questa mafia? In altre parole ancora: mafia e corruzione, nelle forme italiane, sono, per così dire, prima nella società che in se stesse. Solo l’educazione ce le può far riconoscere, capire, studiare generando così gli elementi essenziali perché fiorisca una rinnovata posizione esistenziale e civile di opposizione e rigenerazione.

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