Il “lato oscuro della globalizzazione”. Così il card. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles e presidente del “Gruppo Santa Marta”, salutando il Papa in Sala Clementina ha definito il fenomeno della tratta degli esseri umani e delle altre “forme moderne” di schiavitù, al centro dell’attenzione della quinta riunione annuale del gruppo, che si è conclusa ieri.
Una “sfida grande”, l’ha definita il porporato, ringraziando il Papa per il suo “incoraggiamento” e spiegando che l’impegno del Gruppo si propone innanzitutto di “approfondire la nostra cooperazione per promuovere un’autentica presa di coscienza e responsabilità locale”, anche creando “partnership” come quelle nate in Argentina, Europa dell’Est, Africa e Asia. L’altro versante dell’impegno è quello nei confronti dei governi, affinché “guardino in faccia” i nuovi schiavi e s’impegnino concretamente a “perseguire gli autori di questi crimini malvagi e brutali”. Al quinto incontro del Gruppo Santa Marta – ha reso noto Nichols durante la conferenza stampa, in sala stampa vaticana, sull’organismo internazionale contro il traffico di esseri umani lanciato nel 2014 da Papa Francesco – hanno partecipato un centinaio di persone provenienti da 30 Paesi, in prima linea nella lotta contro il traffico di esseri umani e a fianco delle vittime. “Sono 42 milioni le persone in stato di schiavitù nel mondo – ha ricordato Nichols – e questo dramma non è mai stato così grande come ora”. Tra i nuovi schiavi, ha fatto notare Nichols, ci sono anche i circa 4 milioni di marittimi sfruttati sui pescherecci di tutto il mondo, per liberare i quali si sta lavorando per “costruire ponti di collaborazione a livello locale, nazionale e internazionale”. C’è poi il rapporto tra Paesi d’origine e Paesi di destinazione: “Non bisogna mai pensare che un Paese sia soltanto un Paese di destinazione, è spesso anche un Paese di origine, da cui partono le persone destinate ad essere i nuovi schiavi”, ha fatto notare Nichols.

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