Stefano De Martis

La scadenza elettorale del 4 marzo è ormai dietro l’angolo. Fino a quindici giorni prima del voto sarà possibile diffondere e pubblicare ulteriori sondaggi, ma una volta chiusi i seggi conteranno soltanto le scelte compiute dai cittadini nel segreto dell’urna, come si è soliti dire con enfasi non ingiustificata. Al di là delle previsioni sui risultati delle singole forze politiche, quali dinamiche di fondo si possono individuare negli orientamenti dell’elettorato, a questo punto della campagna per le politiche 2018? Lo abbiamo chiesto a Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia, uno dei più noti e autorevoli analisti dell’opinione pubblica italiana.

Quali temi hanno avuto maggiore rilevanza, finora, nell’orientare le intenzioni di voto?
Senza dubbio il tema più rilevante è quello dell’immigrazione, anche prima dei drammatici fatti di Macerata. Il tema dei migranti ha un’elevata potenza evocativa, poiché in qualche modo tiene assieme altri aspetti centrali, quali la protezione sociale, la sicurezza, l’identità. Proprio per questo,

in diversi casi, l’immigrato diventa capro espiatorio delle nostre difficoltà, che spesso non derivano direttamente dall’arrivo dei migranti sul nostro territorio.

Come ad esempio l’impoverimento delle classi medie dei Paesi sviluppati, effetto di una globalizzazione mal gestita. O la perdita di potere degli Stati nazionali, che crea paure e difficoltà, senza che ancora gli organismi sovranazionali come l’Europa riescano a sostituire a questa crisi un potere politico efficace. In sostanza l’immigrazione condensa tutti i temi di protezione sociale che sono al centro delle attese degli elettori.

Sulla base delle rilevazioni, in che misura il fattore territoriale incide sugli orientamenti degli elettori?
La divisione territoriale del nostro Paese rimane in tutta la sua intensità e addirittura sembra amplificarsi nelle previsioni di voto. Il Nord, salvo piccole isole, è sostanzialmente patrimonio del centrodestra, le regioni centrali, anche qui con qualche probabile eccezione come le Marche, vedono la prevalenza del centrosinistra, il centro sud del Paese è invece conteso tra centrodestra e Movimento 5 Stelle. Insomma, si mantiene la classica ripartizione “subculturale” dell’Italia, per quanto sempre più sfumata.

È prevedibile un ulteriore aumento dell’astensionismo, come molti temono? E in che misura i caratteri specifici di questa campagna elettorale possono influenzare, in positivo o in negativo, la partecipazione al voto?
I segnali di allontanamento dal voto si mantengono, e vediamo crescere questo fenomeno di elezione in elezione. È quindi

probabile che ci sia una diminuzione della partecipazione,

anche se bisogna aspettare gli ultimi giorni di campagna, quando parte importante dell’elettorato prende le proprie decisioni. In generale la campagna elettorale non sembra scaldare gli animi. Le molte promesse vengono viste con un certo disincanto dagli elettori. Si pensa che servano per attirare voti, ma che non saranno percorribili effettivamente. O, ancora, si pensa che non ci siano risorse per realizzarle e che se si faranno si dovrà comunque trovare risorse togliendole ai cittadini. In generale poi non sembra emergere da nessuna delle forze che si contendono il consenso una visione del futuro. E questo è quasi un paradosso in un Paese che sta uscendo dalla crisi e che ha bisogno non solo di crescita ma di innovazione, di proiezione in avanti. Per ora la campagna non scalda e non favorisce la mobilitazione degli elettori.

Il 4 marzo sono chiamati alle urne i nuovi “ragazzi del ‘99”. Allargando il discorso dai diciottenni alle fasce più giovani della popolazione, che cosa ci si può aspettare in termini di partecipazione al voto?
I segnali che abbiamo non indicano una propensione dei più giovani ad astenersi in misura più elevata rispetto agli altri. In generale i giovanissimi che si affacciano al voto tendono a partecipare. Certo, questa è una campagna che non guarda a loro, visto che uno dei temi centrali è quello delle pensioni. Ma non ci aspettiamo diserzioni dalle urne.

Sul piano complessivo, che consapevolezza emerge riguardo al funzionamento della nuova legge elettorale?
Gli elettori normalmente non hanno particolare dimestichezza con le leggi elettorali e faticano ad approfondirne gli aspetti tecnici. Inoltre

il Rosatellum ha evidenti elementi di complessità

sia nel tentativo di coniugare l’impianto sostanzialmente proporzionale con l’iniezione di maggioritario, sia nelle modalità di computo delle liste partecipanti, a seconda che raggiungano la soglia o meno, che stiano sotto l’1% o no, sia infine nella modalità di assegnazione dei seggi. I cittadini ne sanno poco. Proprio in questi giorni inizieremo la sperimentazione del voto usando un facsimile di scheda. Cercheremo di capire i due effetti che più ci sembrano da indagare rispetto al comportamento dell’elettore: il voto maggioritario e proporzionale espressi sulla stessa scheda e l’impossibilità del voto disgiunto, a differenza di quanto avveniva con il Mattarellum. Temiamo che ci sia ancora una diffusa confusione tra gli elettori.

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