Giovanni M. Capetta

Il buongiorno si vede dal mattino”: l’adagio popolare non è detto che vada a genio proprio a tutti. Se i bioritmi determinano la qualità della convivenza, quando i membri di una famiglia non condividono la stessa attitudine rispetto alle parti della giornata, partono già svantaggiati verso una quotidianità pacifica. C’è chi non si sveglierebbe mai per poi alzarsi la mattina quando a stento si chiama ancora così e c’è chi, allodola o grillo è in piedi senza l’aiuto della sveglia ad ore per gli altri impensabili. C’è chi si addormenta sul divano e poi la mattina deve farsi raccontare dagli altri il programma tv di cui ha perso ben più del finale e c’è chi solo di notte macina riflessioni, studio e lavoro, complice la concentrazione indotta dal silenzio. Inutile dire chi abbia ragione, quel che è certo è che per una famiglia del Ventunesimo Secolo è difficile sincronizzare un orologio comune in cui i tempi di ciascuno possano convergere verso tempi comuni. Scandire il tempo come i monaci o i frati, nonché la Chiesa stessa, secondo “la liturgia delle Ore” in lodi, ora media, vespri e compieta, è impresa ardua se non impossibile. Viviamo in città dove neanche più il suono delle campane ci ricorda che il tempo non è un possesso ma un dono ricevuto. Possiamo cavalcare il tempo come un cavallo inesausto di cui rispettiamo il vigore, ma che sappiamo anche domare? Un metodo lo indica Qoèlet secondo cui c’è un tempo opportuno per ogni cosa. Non si può fare tutto in ogni momento e ogni cosa sempre. Ci è chiesto di dare nome alle ore della giornata, ai giorni della settimana, ai mesi e alle stagioni, non solo quelle dell’anno, ma ancor più quelle della nostra vita. C’è una chiave per avere accesso al nostro tempo ed è quella di non smettere di salutarsi: dirsi “buongiorno” è antidoto alla frenesia e argine alla deriva subdola e silenziosa dell’indifferenza che lacera e ingrigisce i nostri incontri. Diciamoci “salve/sta bene/buona giornata/ciao”, alziamo lo sguardo e volgiamolo verso l’altro nella gioia dell’incontro. Se il buongiorno si vede dal mattino, ancor più la qualità del nostro mattino si vede dal “buongiorno”. Riscoprire il gusto di salutarsi significa non dimenticarsi che sono le persone che fanno la storia e non viceversa, che i protagonisti del tempo sono gli uomini e le donne, attori liberi di una trama tutta da inventare e non pedine di strade predeterminate da un demiurgo impassibile. Salutiamoci fra coniugi, benediciamoci reciprocamente con un bacio o una croce in fronte, educhiamo i nostri figli a farlo uscendo per andare a scuola o tornando a casa; non stanchiamoci di punteggiare le ore del giorno di saluti come fossero i rintocchi del nostro cuore a sostituire le campane soffocate dal rumore. Salutiamoci scandendo le parole e i sentimenti e allora, come auspicavano De Sica e Zavattini realizzando quel film capolavoro che è “Miracolo a Milano”, potremo sperare di volare “Verso un regno dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno!”

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