DIOCESI – Abbiamo intervistato il Vescovo della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, Mons. Carlo Bresciani.

Eccellenza è appena trascorso il quarto anniversario dal suo ingresso in diocesi. Ripensando a quei momenti cosa prova?
Fu un giorno davvero molto speciale. Ricordo vivamente la calorosa e commovente accoglienza che tutta la Diocesi mi riservò: al porto i pescatori, a piazza Matteotti i giovani e in cattedrale una folla numerosissima. Tutti accoglievano con entusiasmo uno che non conoscevano; quindi era evidente che l’entusiasmo non era per l’uomo, ma per il Vescovo. Una bella e incoraggiante testimonianza di fede.
Cosa provo ora ripensando a quei momenti? Un senso profondo di gratitudine a tutti e a Dio in primo luogo.

Durante la sua omelia in occasione della ricorrenza della sua ordinazione episcopale ha ricordato che era tentato di rifiutare, come Abramo, la chiamata nella nostra diocesi. A distanza di tempo, come rivede quella “tentazione”?
E’ vero, e l’ho anche scritto, che quando il papa mi chiese di diventare vescovo della Chiesa di san Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto (diocesi di cui non conoscevo nulla) incominciò spontaneamente a risuonare dentro di me il ritornello della canzone di Abramo: “Abramo non andare, non partire…”.
Sentivo che mi veniva chiesto di lasciare la Diocesi nella quale ero cresciuto e che amavo. Ma si trattava di una tentazione, appunto, che mi avrebbe portato a disubbidire al papa, stando legato al mio passato. Avevo sempre accettato prontamente quanto la Chiesa mi chiedeva, non potevo rifiutare una richiesta del papa. Mi ero sempre fidato del Signore, dovevo continuare a fidarmi di Lui.
Oggi ringrazio il Signore che mi ha aiutato a superare la tentazione di rifiutarmi e ne sono contento. Sono grato a questa Chiesa, da cui mi sono sentito accolto, e a tutti i suoi presbiteri e diaconi che mi hanno offerto prontamente la loro collaborazione pastorale.

Colpì molto durante la sua prima conferenza stampa con i giornalisti l’affermazione, sintetizzando, che lei preferiva la vitalità della parrocchia alla vitalità dei movimenti. In questi anni il suo pensiero è cambiato?
Onestamente non ricordo quello che ho detto in merito in quell’incontro. Ma il mio pensiero certamente non era, e non è, contrario ai Movimenti o alle Associazioni che contribuiscono non poco alla vitalità della Chiesa e alla trasmissione della fede oggi. Penso piuttosto, con papa Francesco, che la parrocchia mantiene la sua centralità nella Chiesa e che “il cammino pastorale della comunità locale ha come punto imprescindibile il piano pastorale della diocesi, il quale va anteposto ai programmi delle associazioni, dei movimenti e di qualsiasi gruppo particolare” (papa Francesco, 16-11-2017).
La vitalità della parrocchia non è da vedere come contrapposizione alla vitalità dei Movimenti e delle Associazioni, sarebbe un grosso errore, ma come momento imprescindibile di unità e come frutto della preoccupazione propria della Chiesa di far giungere il Vangelo a tutti, anche a chi non intende far parte di nessun Movimento o Associazione: ai bambini, ai ragazzi, ai giovani, agli adulti e agli anziani, a tutti.

Il 2018 sarà l’anno del Sinodo dei Giovani, come si sta preparando la nostra diocesi?
Il nostro Ufficio diocesano per la pastorale giovanile sta seguendo puntualmente le indicazione e le proposte che provengono dalla Conferenza Episcopale Italiana; ha incontrato tutte le cinque vicarie della diocesi e i loro sacerdoti e, come proposto, ha promosso i gemellaggi tra le parrocchie. Ora si sta passando al passo successivo. Quello che viene chiamato dell’”ascolto”. Si tratta, dopo aver fatto la verifica delle prassi pastorali nei confronti dei nostri giovani, di mettersi in ascolto delle loro attese e delle loro aspirazioni più profonde. Mi pare che, con la collaborazione di tutti, anche noi possiamo prepararci bene ai Sinodo sui giovani e vivere bene e in modo proficuo le tappe che ci separano dall’incontro con il papa ad agosto a Roma.

Molti fedeli si domandano come mai non abbia ancora iniziato la sua visita pastorale nelle parrocchie. Cosa risponde in merito?
Una visita pastorale in senso canonico, è vero, non l’ho iniziata. In questo momento non è in programma. In futuro si vedrà. In questi quattro anni, tuttavia, ho visitato più volte tutte le parrocchie in occasione delle varie ricorrenze. Sto in questi anni incontrando i Consigli pastorali e i Consigli degli affari economici di tutte le parrocchie, vicaria per vicaria. Penso che la visita pastorale vada preparata bene (non solo dal punto di vista degli adempimenti canonici), affinché possa dare risultati positivi e per questo ho bisogno di conoscere approfonditamente la realtà diocesana suscitando le condizioni perché essa, quando avverrà, sia, con la grazia di Dio, fruttuosa.

La famiglia è chiesa domestica; cosa si sentirebbe di dire alla famiglia per accompagnarla nel suo percorso di fede?
Io sono convinto che la famiglia continua ad essere una grande risorsa umana e cristiana: sta incontrando certo molte difficoltà, soprattutto per una cultura che non le è favorevole. La società le chiede molto, ma poi l’abbandona a se stessa.
La famiglia è il luogo dove naturalmente si impara, nella pratica quotidiana, che cosa significhi la solidarietà, il rispetto reciproco, l’amore che si fa dono anche nelle piccole cose di ogni giorno, si esperimenta il miracolo della vita donata, della libertà che si fa dono agli altri, di dipendenza affettuosa gli uni dagli altri, dove si condividono fatiche, gioie e speranze… Una vera palestra nella quale lentamente fiorisce la vita dei coniugi e dei figli e ci si scopre affidati gli uni agli altri e, insieme, affidati a Dio.
Direi alla famiglia di vivere intensamente e nella gioia questi momenti quotidiani celebrandoli in comunione di fede con la Chiesa.

Chiudiamo questa intervista chiedendole una parola di speranza in questo mondo per certi versi disperato nel rincorrere la felicità momentanea/emozionale.
Sono consapevole delle non poche difficoltà che il nostro mondo ci presenta e delle formidabili sfide che pone alla missione affidata da Dio a ciascuno di noi credenti e alla Chiesa: quella di annunciare la gioia del Vangelo.
Non mi riconosco, però, in chi vede solo nero e manca di speranza. Sono convinto che sia una tentazione diabolica quella di farci vedere tutto e solo nero, perché la conclusione è il rimpianto, la lamentazione sterile e, alla fine, la rinuncia all’impegno per rendere migliore, a partire da sé, questo mondo e questa Chiesa. Chi ama veramente non si arrende alle difficoltà. Ogni tempo, ogni realtà ha il suo affanno, ma anche la sua grazia che non c’è mai senza la collaborazione umana. I santi ce l’hanno insegnato.
Inoltre, io credo fermamente che Dio continua ad agire, anche oggi, dentro questo mondo e dentro la nostra amata Chiesa. Non mi ritrovo in chi vede il positivo solo nel passato. Mi ritrovo, invece, in chi vede la terra promessa davanti a sé: c’è sicuramente ancora molta strada da fare per arrivarci, ma ogni passo, anche piccolo, in quella direzione è un grande dono di Dio da apprezzare e da saper gustare. La speranza sta nei passi in avanti fatti insieme, sapendo che Dio è sempre vicino a coloro che cercano di operare il bene.

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