M.Michela Nicolais

Una croce rossa, tra una “T” e una “S” dello stesso colore, collegate da un sentiero sempre vermiglio, il colore del sangue dei martiri. È la prova della persecuzione dei cristiani nel Colosseo, per molto tempo e ancora oggi, a più riprese, negata da insigni studiosi. A fare la sensazionale scoperta, dopo gli ultimi lavori di ripulitura dell’Anfiteatro Flavio, è stato Pier Luigi Guiducci, storico della Chiesa, docente alla Pontificia Università Lateranense, che durante un incontro al Centro “Il Girasole” di Via Elio Donato, a Roma, ha comunicato un altro suo ritrovamento inedito: un Chrismon (il monogramma di Cristo, che unisce graficamente la chi e la rho greca, ndr.), in un criptoportico ritrovato negli scavi sotto il palazzo dell’ambasciata americana di via Veneto. Segno della presenza dei seguaci di Cristo, nel terzo secolo d. C. – stessa datazione della croce del Colosseo – anche nella zona degli Horti Sallustiani, in ambienti di pertinenza del potere politico e delle classi aristocratiche. La testimonianza dei martiri cristiani a Roma dal I al IV secolo è anche l’argomento di “Nell’ora della prova”, il libro scritto da Guiducci per le edizioni Albatros.

La Croce al Colosseo. Mentre parla, Guiducci ancora tradisce l’emozione, segno della passione e della tenacia con cui ha saputo dare corpo e tonalità scientifica, con il rigore dello storico, ad un’intuizione nata mentre su Internet ha visionato una delle foto della recente ripulitura di alcune aree del Colosseo, iniziata nel 2012. Nel 2016, archeologi e restauratori, in una galleria intermedia al terzo livello, sono riusciti ad individuare decorazioni pittoriche, in un corridoio di servizio all’interno del quale trovavano posto perfino degli orinatoi: un ambiente marginale, destinato all’ingresso del popolino per gli spettacoli.

“Osservando l’immagine di un lacerto di intonaco – racconta Guiducci – ho individuato una croce in rosso, nascosta tra i graffiti in nero lasciati dai visitatori dell’anfiteatro in tempi moderni”,

con nomi, date e a volte il luogo di origine dei visitatori. Più di una ricerca aveva già individuato delle croci nell’anfiteatro Flavio, presso gli ambienti interni prossimi all’arena, nel primo e nel secondo livello: mai, però, nei livelli superiori. Sullo sfondo bianco dell’intonaco del corridoio al terzo livello – come poi è risultato ancora più chiaro, dopo il sopralluogo, grazie all’elaborazione digitale delle immagini – una mano ignota volle tracciare in rosso due grandi lettere, una “T” e una “S”, unendole con una linea rossa sulla quale, a destra della “T”, è disegnata una croce. Ma cosa vogliono dire la “T” e la “S”, e perché la croce è disegnata, in posizione leggermente sopraelevata, proprio sulla linea grafica che congiunge alla base queste due lettere? “L’ipotesi iniziale – informa Guiducci – è stata quella delle iniziali di un nome, come Tarcisius o Theseus. Ma gli antichi romani erano soliti scrivere i nomi per intero”. Così, si è fatta strada l’idea che si trattasse di un’esclamazione usata dagli stessi spettatori dei giochi:

“Taurus, taurus, taurus!”, gridava infatti la plebe quando l’animale indugiava ad entrare nell’arena o ad iniziare a combattere, e dovevano intervenire gli schiavi per attizzare gli animali con le fiaccole o con le lance.

Il riferimento al toro, inoltre, è particolarmente pertinente, se si considera il fatto che a Roma era diffuso tra i vari culti quello alla dea Cibele, in onore della quale proprio sul Palatino, il 10 aprile del 191 a. C., venne edificato un tempio. E proprio sul Palatino – luogo simbolo della “traditio” che riferisce di un elevato numero di martiri uccisi nel Colosseo, tra cui Ignazio di Antiochia, deportato a Roma nel 107 perché Traiano voleva celebrare, con 123 giorni di combattimenti “ad bestias”, la grande vittoria sui Daci – il Papa, ogni anno, celebra la Via Crucis.

“In un contesto dove morivano molte persone nell’arena, in dinamiche talvolta estremamente dolorose, qualcuno – certamente cristiano – volle affidare alla misericordia divina le anime dei defunti”. Guiducci spiega così l’interpretazione della sua scoperta. E aggiunge: “Mentre da una parte si esaltava il vigore, la forza, il sangue, la dominanza, dall’altra una piccola croce, abbastanza celata forse proprio per le persecuzioni, ha voluto richiamare ad un’altra realtà, dolorosa ma salvifica”.

Il Chrismon nel criptoportico dell’ambasciata americana. Negare le persecuzioni dei cristiani nel Colosseo “è una logica più ideologica che storica”, spiega l’esperto, precisando che i cristiani venivano uccisi nell’arena “non perché deportati in gruppi, ma singolarmente, mischiati agli altri condannati a morte”. Operazione ideologica è anche quella di chi vorrebbe negare la presenza dei cristiani fra le classi agiate: ne è la riprova il “Chrismon” dell’ambasciata americana a Roma, nella zona tra via Lucullo e via Friuli. Guiducci definisce graffiti come questi, al contempo, un’invocazione e un messaggio in codice: “Il terzo e l’inizio del IV secolo d.C. furono segnati da persecuzioni anti-cristiane. Per tale motivo è spontaneo pensare a un pensiero di supplica rivolto a Cristo Salvatore, e all’esigenza di raggiungere in qualche modo i propri correligionari in pericolo. Occorreva, infatti, proteggere chi poteva essere già stato individuato dalla pubblica autorità, o chi correva il rischio di poter essere localizzato”. Il fatto che il Chrismon si trovi nel criptoportico degli Horti Sallustiani, in un’area di proprietà di proprietà dei pubblici poteri, attesta che almeno alcuni cristiani erano presenti in ambienti socialmente elevati: “Probabilmente si trattava di servitori o di militari, ma non è da escludere un’adesione di autorità politiche alla nuova ‘religio’”, l’ipotesi di Guiducci sulla sua seconda scoperta.

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