MONTEPRANDONE Nella parrocchia Sacro Cuore di Gesù di Centobuchi, domenica 17 dicembre, è stato ricordato durante la Santa Messa, Don Remo Burrasca, ad un anno dalla sua morte.
Prima della celebrazione, il parroco don Alfonso Rosati, ha ricordato la storia dei parroci che dal ’43 in poi si sono susseguiti anche se la parrocchia ufficialmente, è stata consacrata il 20 marzo 1960.
“Prima di Don Remo, per un anno e mezzo c’è stato don Nicola Spina- ha rammentato don Alfonso-che ha traghettato la parrocchia in quel momento, anche se ricopriva l’incarico da reggente.
Dopo è subentrato Don Remo, che ha guidato la parrocchia per 44 anni e che ricordiamo oggi, ad un anno dalla morte.
Don Remo è stato per tutta la cittadina di Monteprandone, Centobuchi in particolare, una persona che ha lavorato per il territorio, si è dato molto da fare anche per altre attività, forse anche perchè i tempi lo permettevano.
Nel presentare questo quarto, segno di avvento, proviamo un attimo a guardarci, proviamo a fare memoria.
Memoria non è solo un ricordare, ma un attualizzare; penso che nonostante tutte le tecnologie che abbiamo oggi , i tempi moderni non si sostituiranno mai l’emozione di un ricordo.
Don Remo, ha fatto la sua storia.
In questi quarantaquattro anni, di storia ce ne è stata. Tanti sono stati battezzati, comunicati, cresimati, sposati ed ora compagni di viaggio nel regno dei cieli. Questo ci dovrebbe essere di aiuto e di stimolo a costruire la nostra storia, prendere il suo insegnamento ed andare avanti.
Oggi viviamo in una società che tenta di distruggere l’essere umano, c’è crisi di vita, di famiglia: prendiamo in riferimento gli aborti, i divorzi e adesso l’eutanasia.
Posso concludere dicendo che Don Remo fino all’ultimo ha avuto, nonostante la sua età, uno spirito giovane e battagliero.
Ricordo infatti l’ultima volta che lo vidi in rianimazione; doveva essere ricoverato in geriatria e lui non volle perchè diceva che era un reparto di vecchi. Lui era così ed anche se sapeva di avere un’età voleva sentirsi sempre giovane.” (Paola Travaglini)

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