Paola Dalla Torre

C’è ancora poca consapevolezza dei rischi. Specialmente nel lasciare i profili dei social network “aperti”, cioè disponibili a chiunque. E poi le esperienze sperimentate: il 27,8% dei ragazzi ha risposto di aver subito nell’ultimo anno una forma di bullismo, il 20% ha ricevuto messaggi a contenuto sessuale e il 5% circa si è accorto che qualcuno aveva creato un proprio profilo falso, in quello che è a tutti gli effetti reato di sostituzione d’identità. Infine, il 13,6% ha scovato online foto che non voleva fossero diffuse.
Sono le cifre, impietose, di uno studio firmato da quattro atenei (Federico II di Napoli, Sapienza e Lumsa di Roma, Cattolica di Milano) e promosso dai Corecom di Lombardia, Lazio e Campania battezzato Web reputation e comportamenti online degli adolescenti in Italia. Al centro proprio i ragazzi (ne sono stati ascoltati 1.500 dalle tre Regioni) e l’uso che fanno delle piattaforme sociali, da Facebook in giù. Emerge anzitutto l’onnipresenza: il 95,5% degli utenti fra 15 e 18 anni dispone di almeno un profilo sui social network. Quelli tra gli 11 e i 14 toccano il 77,5%.
Secondo l’indagine, il 39,6% delle vittime ha sperimentato una qualche forma di abuso su Facebook, il 31,7% su WhatsApp, il 14,3% con chiamate ed sms sul proprio cellulare e l’8,1% su Instagram, che si conferma la piattaforma più lontana da questo genere di fenomeni.
In seconda battuta esce la scarsa consapevolezza degli strumenti per la riservatezza personale: il 40,3% ha infatti un profilo pubblico. Solo il 57% – la maggioranza, certo, ma a fronte di una sterminata minoranza – ha impostato i propri account come privati, cioè visibili solo ai contatti con cui si è in collegamento. Mentre poco meno della metà (45,7%) ha aggiunto alla propria lista di contatti persone che non aveva mai incontrato faccia a faccia o inviato loro informazioni personali (30,9%).
Privati o pubblici che siano, i profili dei social sono scrigni di tante (troppe) informazioni personali. Se il volto è ovviamente impossibile da non condividere (il 73% ha postato proprie foto e il 72% scatti e video personali), il 64,7% ha ovviamente diffuso anche il cognome, la metà pure la scuola frequentata e il 19% perfino il numero di telefono. Per fortuna solo una minoranza, il 9,1%, ha pubblicato l’indirizzo della propria abitazione. D’altronde, chi possiede profili pubblici ha il 10% di probabilità in più di andare incontro ai problemi citati prima, dal cyberbullismo all’abuso dei dati personali.
Qualche segnale, tuttavia, comincia a emergere. Anche se il rimedio più frequente (60,4%) è quello di periodiche cancellazioni di amici o contatti non più graditi. C’è dunque ancora molto da fare sulla prevenzione: pochi (36,2%) quelli che hanno deciso di non pubblicare qualcosa per paura che potesse danneggiare la propria immagine mentre il 25,1% ha postato messaggi in codice che solo alcuni amici potessero capire. Anche le scuole, passo dopo passo, iniziano a ritagliarsi il ruolo che spetta loro: un terzo degli intervistati ha spiegato infatti di aver ricevuto consigli dai propri insegnanti su come comportarsi con i propri contatti online (32%) e su cosa fare nel caso in cui qualcosa li turbasse o infastidisse su internet (32,7%).

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