Di Patrizia Caiffa

La nave Aquarius di Sos Mediterranée, una delle poche Ong rimaste nel Mediterraneo per salvare i migranti in difficoltà, è oggi sbarcata a Catania con 421 persone, quasi tutti eritrei e somali, di cui il 40% donne. Ha però denunciato di essere stata costretta, per quattro ore, a non intervenire per aspettare le motovedette libiche che hanno il compito di riportare indietro le persone, grazie agli accordi tra Italia e Libia. Nel frattempo i migranti, disperati, chiedevano aiuto rischiando di annegare. Dopo l’ennesimo naufragio sabato scorso con decine di vittime, la situazione del Mediterraneo e nei centri di detenzione in Libia, sui quali piovono drammatiche testimonianze e foto di violazioni dei diritti umani, non è certo risolta né stabilizzata. Anche perché, pur essendo calati i flussi dalla Libia (21.700 persone tra luglio e settembre), come prevedibile si sono spostati su altre rotte, e sono ancora intensi: dalla Grecia, dalla Tunisia, dal Mar Nero verso la Romania. E si continuano a contare i morti: 3.000 vittime in mare dall’inizio del 2017, almeno 57 ai confini europei via terra. Ne abbiamo parlato con Silvia Stilli, portavoce dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi), la più grande rappresentanza del settore in Italia.

Dopo gli accordi con la guardia costiera libica per rinviare i migranti in Libia e la scelta di molte Ong di non operare più nel Mediterraneo la situazione è sempre molto rischiosa e delicata, perché ci sono di mezzo delle vite umane.

Siamo di fronte ad una situazione dissociata. Sentiamo parlare alla Leopolda dell’imperativo dei diritti umani e di costruire dei corridoi umanitari sicuri ma al tempo stesso abbiamo il Codice di condotta delle Ong, abbiamo siglato accordi con la guardia costiera libica e una situazione disumana nei centri di detenzione in Libia. Ma come è possibile? Siamo al solito punto: c’è un imperativo umanitario e d’accoglienza e scelte dell’Europa e dei governi europei che tardano a venire. Ci sono continue denunce dall’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), ci sono i dati su ciò che succede in Libia, le cifre sulle nuove rotte dalla Grecia, dalla Tunisia, dal Mar nero.

È evidente che i flussi sono ripresi e non si sarebbero fermati esternalizzando in questo modo le frontiere.

La scorsa settimana lei ha partecipato a Bruxelles ad un incontro ad alto livello in preparazione alla conferenza per il partenariato Ue-Africa che si svolgerà ad Abidjan. Come le è sembrato?

Ho sentito l’intervento di conclusione della prima sessione plenaria di presentazione dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini, che avrei sottoscritto dall’inizio alla fine. Ha detto con chiarezza che così non si può più andare avanti, con i morti in mare e le violazioni accertate dei diritti umani. Mogherini si sta impegnando per rafforzare fortemente il mandato e il lavoro dell’Unchr, per lavorare sotto la sua egida. Ha detto che l’Europa non può far finta di niente e ribadito la determinazione a costruire processi, insieme alle organizzazioni umanitarie, che aprano alle soluzioni sicure dei corridoi umanitari. Mi è sembrato un monito all’Italia. Ma è possibile che questa sia l’Europa che ha chiesto all’Italia di dare un segnale per esternalizzare le frontiere? La medesima Europa che aveva fatto accordi con la Turchia nel 2014? Si sta già dimostrando che il Fondo Africa non è stato efficace, anzi i soldi sono stati usati per finanziare le motovedette libiche.  Purtroppo la prima cosa che vediamo è che continuano a creare morti in mare. Forse si sono resi conto ora che gli accordi non funzionano? Ne devono prendere atto. Altrimenti

è un atteggiamento dissociato e incomprensibile. Non si può da una parte chiedere il rispetto dei diritti umani e continuare così.

Giorni fa c’è stata una lettera pubblica di alcuni intellettuali che hanno chiesto alle Ong italiane di disertare il bando per “migliorare le condizioni” dei campi di detenzione in Libia per rifugiati, profughi e migranti, per non essere complici di politiche che violano i diritti umani. Come reagiscono le Ong?

C’è un dibattito in corso.

È una situazione complessa. Ci sono alcune Ong che si sono già espresse e non andranno in Libia.  I fondi a disposizione certo non fanno pensare che le Ong che concorreranno lo faranno per i soldi, perché sono piccoli progetti di emergenza in una situazione di gravi rischi per la sicurezza e con gli occhi puntati addosso. Sicuramente c’è chi dice no in ogni caso; c’è chi dice sì perché fa una scelta etica e si vuole “sporcare le mani” con la realtà; c’è chi dice che vorrebbe andare ma con i propri fondi e non con le modalità trattate dal governo italiano in quel contesto.

Lei cosa propone?

Personalmente farei

un’azione umanitaria con e sotto l’egida dell’Unhcr.

Ma in questo momento il governo libico non accetta le condizioni dell’Unhcr, che sono: libero accesso ai campi e monitoraggio e verifica di coloro a cui spetta il diritto d’asilo; conferma da parte del governo libico che si intende smantellare i centri e far aprire i campi dell’Unhcr dove trasferire le persone. Importante è che che il garante sia l’Unhcr.

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