Bruno Desidera

Viva il pueblo, ma ad una condizione: dev’essere ben chiaro che “il popolo sono io!”. Si può partire da qui per descrivere il delicato momento che stanno vivendo i principali governi di sinistra rimasti al potere in America Latina, dopo le disavventure di Brasile e Argentina, e senza considerare il caso a parte del Venezuela. Stiamo parlando di Ecuador e Bolivia. Diverse le scelte dei due leader storici, ma simile stato d’animo. E un comune problema: il riuscire a passare dall’io al noi.

In Ecuador Correa contro il successore. In Ecuador il protagonista assoluto della “revolución ciudadana”, Rafael Correa, dopo aver guidato il paese per dieci anni non si è ricandidato alle presidenziali di inizio anno. Ma sono bastati pochi mesi per arrivare alla totale incomunicabilità con il suo successore, Lenín Moreno. Il nuovo presidente si è mosso con una certa autonomia e discontinuità, di fronte alla difficile situazione economica e agli scandali per corruzione che hanno coinvolto direttamente il vicepresidente, Jorge Glas, il vero delfino di Correa, arrestato qualche settimana fa, ma già in precedenza privato da Moreno di tutte le deleghe. Quella decisione ha dato il via alle ostilità. Ora Correa, dal Belgio (il paese d’origine della moglie, dove si è trasferito quest’anno) quasi quotidianamente martella il suo successore su Twitter.

In Bolivia Morales cerca il quarto mandato. Situazione ancora più esplosiva in Bolivia. Qui governa incontrastato dal 2006 il leader indio Evo Morales. Il nome con cui è presente su Twitter dice già tutto: @evoespueblo, “Evo è il popolo”. Ora Morales le sta tentando tutte per presentarsi anche nel 2019, cosa al momento esclusa dalla Carta costituzionale (per lui sarebbe il terzo mandato dopo l’approvazione della Costituzione, il quarto in totale). Nel febbraio del 2016 ha indetto un referendum proprio per potersi ricandidare. Ma il popolo, a sorpresa, ha detto no. Il presidente ha sempre contestato il verdetto e nelle scorse settimane ha annunciato la propria volontà di riprovarci. Le modalità sono allo studio: un altro referendum… dimissioni “tattiche” a qualche mese dalla scadenza del mandato… si vedrà.

La Chiesa: “Rispettare la Costituzione”. Di fronte ai suoi progetti, Morales sta trovando una voce ferma, quella della Chiesa cattolica, che in questi mesi è stata molto critica anche sulla legge che di fatto legalizza l’aborto in Bolivia. Morales ricambia, attaccando più o meno settimanalmente i vescovi. Ne abbiamo parlato con il presidente della Conferenza episcopale boliviana (Ceb), mons. Ricardo Ernesto Centellas Guzmán, vescovo di Potosí. “La nostra – ci dice – è una posizione muy clara. Il diritto di tutti viene prima di quello individuale.

La nostra Costituzione si deve rispettare.

Non riteniamo sia conveniente un’altra consultazione popolare, dopo quella di un anno e mezzo fa. La democrazia è l’arma del popolo”. E il popolo nel febbraio del 2016, si è espresso chiaramente. Il presidente della Ceb è critico sulle scelte più recenti del Governo: “Noi chiediamo uno sviluppo sociale integrale. Coloro che sono al potere si sono dimenticati delle proposte che 11 anni fa avevano fatto, e che erano buone: la difesa dei diritti umani, della vita, delle minoranze, il rispetto dell’ambiente… Ora invece vediamo che la legge che permette il passaggio di una strada attraverso la riserva naturale del Tipnis è passata alla Camera. E stiamo assistendo alla depenalizzazione dell’aborto. La proposta di legge prevede che uno dei motivi per poter abortire sia la povertà. Ma qui a Potosí l’80% è povero! Ancora, assistiamo all’aumento della corruzione”.

La recente visita ad limina. Non sfugge ai vescovi che Morales è ancora un punto di riferimento per molti movimenti popolari. In questo ruolo, il presidente tende a strumentalizzare, tornerà in Vaticano il prossimo 17 dicembre. Intanto in Vaticano, sono stati recentemente, per la visita ad limina, tutti i vescovi boliviani. “Ci siamo sentiti come fratelli – sottolinea mons. Centellas -. La parola del Papa è stata chiarissima, ci ha chiesto di andare avanti nell’impegno per la liberazione autentica del popolo, evitando ideologie, violazioni di diritti umani. Ci ha chiesto di camminare al tempo stesso dietro al gregge, nel mezzo e davanti. La Chiesa vuole mettersi a servizio del suo popolo”. Riguardo al futuro prossimo, il presidente dei vescovi boliviani non nasconde la sua inquietudine: “In questo momento

non sono ottimista, piuttosto sento una serena preoccupazione. Le cose non vanno bene in Bolivia, non si rispettano le istituzioni. L’attuale Costituzione è stata plasmata da chi ora è al Governo, eppure ci si vuole prendere gioco di essa.

Ci auguriamo che vincano la ragione e il rispetto”. Certo, conclude mons. Centellas, “un ricambio di persone sarebbe adeguato, anche per trovare nuovi spazi di dialogo tra Chiesa e Stato. Un dialogo aperto e franco, che ora non è possibile. La nostra speranza è riposta nei giovani, auspichiamo che emergano leader politici che abbiano una visione globale e come riferimento il bene comune”.

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