M.Michela Nicolais

“Cambiare rotta” significa introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria dell’amore. Declinare, cioè, il termine “umanitario”, tanto in voga in questo settore, come “principio di umanità”. Nel suo terzo discorso alla Fao, durato circa 25 minuti e pronunciato in spagnolo, Papa Francesco ha affermato che la gestione della mobilità umana richiede “un’azione intergovernativa coordinata e sistematica, condotta secondo le norme internazionali esistenti e permeata da amore e intelligenza”. Vulnerabili sono tutti coloro che non possono difendersi: gli esclusi, come i migranti costretti a lasciare la loro terra a causa della fame o della guerra. È la loro voce che gli organismi internazionali devono imparare ad ascoltare: le iniziative messe in campo non bastano. All’inizio del suo intervento in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, quest’anno dedicato al tema “Cambiare il futuro della migrazione. Investire nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale”, Francesco ha salutato i ministri dell’Agricoltura del G7 presenti in aula – tra cui il ministro italiano, Maurizio Martina – incontrati poco prima nel secondo piano dell’edificio, subito dopo il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, che appena arrivato nella Sala plenaria ha rivolto a Francesco il suo saluto.

Bisogna fare di più per cambiare il futuro della migrazione, agendo sulle sue due cause principali: i conflitti e i cambiamenti climatici.Sul primo versante, il Papa chiede

“un disarmo graduale e sistematico”,

già previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, anche per porre rimedio alla funesta piaga del traffico delle armi. Sul versante dei cambiamenti climatici, Francesco cita l’Accordo di Parigi, dal quale “alcuni si stanno allontanando”, e stigmatizza la noncuranza verso i delicati equilibri degli ecosistemi e la presunzione di manipolare le risorse del pianeta in nome di un profitto avido.

“Non possiamo rassegnarci a dire ci penserà qualcun’altro”,

l’invito per cambiare gli stili di vita, l’uso delle risorse, i criteri di produzione e i consumi.

La fame non è “una malattia incurabile”, afferma il Papa ricordando che sono le guerre e i cambiamenti climatici a determinarla. Il cancro da evitare è la speculazione, che favorisce i conflitti e gli sprechi e fa aumentare “le file degli ultimi della terra che cercano un futuro fuori dal loro territorio d’origine”. Di fronte a tutto questo,

“possiamo e dobbiamo cambiare rotta”:

non si risolve il problema della fame diminuendo il numero delle bocche da sfamare, ma prendendo coscienza che “ridurre è facile, condividere invece impone una conversione”. “Riflettere su come la sicurezza alimentare può incidere sulla mobilità umana significa ripartire dall’impegno per cui la Fao è nata, per rinnovarlo”, afferma il Papa all’inizio del suo discorso, ricordando il 16 ottobre 1945, data in cui la Fao è stata istituita in un periodo di grave insicurezza alimentare e di grandi spostamenti di popolazione. Come accade oggi:

“La morte per fame o l’abbandono della propria terra è notizia quotidiana, che rischia di provocare indifferenza”.

Introdurre la categoria di amore nel linguaggio del diritto internazionale, la proposta controcorrente di Francesco: il termine “umanitario” va declinato come “principio di umanità”, e la diplomazia e le istituzioni multilaterali devano alimentare e organizzare questa capacità di amare, perché le migrazioni forzate non potranno essere fermate da barriere fisiche, economiche, legislative, ideologiche:

“Non possiamo operare solo se lo fanno gli altri, né limitarci ad avere pietà, perché la pietà si ferma agli aiuti di emergenza, mentre l’amore ispira la giustizia ed è essenziale per realizzare un giusto ordine sociale tra realtà diverse che vogliono correre il rischio dell’incontro reciproco. Amare vuol dire contribuire affinché ogni Paese aumenti la produzione e giunga all’autosufficienza alimentare. Amare si traduce nel pensare nuovi modelli di sviluppo e di consumo, e nell’adottare politiche che non aggravino la situazione delle popolazioni meno avanzate o la loro dipendenza esterna. Amare significa non continuare a dividere la famiglia umana tra chi ha il superfluo e chi manca del necessario”.

“Fermare il ricorso alle armi di distruzione di massa è possibile”, assicura il Papa, sottolineando come questo ricorso mieta vittime tra i poveri e gli esclusi. Quando si parla di migranti, ci si divide sul concetto di “vulnerabilità”, ma per Francesco non possono esserci equivoci o sofismi linguistici:

“Vulnerabile è colui che è in condizione di inferiorità e non può difendersi, non ha mezzi, vive cioè una esclusione. E questo perché è costretto dalla violenza, da situazioni naturali o peggio ancora dall’indifferenza, dall’intolleranza e persino dall’odio”.

Ecco perché occorre prestare ascolto al grido di tanti nostri fratelli emarginati ed esclusi: “Ho fame, sono forestiero, nudo, malato, rinchiuso in un campo profughi”.

“È una domanda di giustizia, non una supplica o un appello di emergenza”, precisa Francesco: “Il giogo della miseria generato dagli spostamenti spesso tragici dei migranti, può essere rimosso mediante una prevenzione fatta di progetti di sviluppo che creino lavoro e capacità di riposta alle crisi climatiche e ambientali”. Si è fatto tanto, ma bisogna fare di più, ad esempio per evitare il “land grabbing” o la corruzione.

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