“Leggendo il titolo del Sinodo dei giovani mi ha impressionato il fatto che gli adulti – noi, anche noi cattolici – abbiamo alle spalle un ventennio dove senza colpo ferire abbiamo contribuito a costruire una cultura dove l’uomo riuscito è quello che si è fatto da solo dimenticandosi della dimensione relazionale. Ma nessuno cresce da solo. La questione centrale sta nel tipo di relazioni che noi abbiano con i giovani”. Ne è convinto don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei. Intervenendo all’incontro dei rappresentanti delle associazioni e dei movimenti che si occupano di famiglia, Falabretti ribadisce: “Un sinodo sui giovani deve dare agli adulti il coraggio di guardarsi allo specchio; se non siamo per loro generativi rispetto ad una vita di fede il problema non sarà tutto loro. Più che dare risposte la questione è scoprire l’arte di suscitare domande. Il tema della famiglia ha rotto il ghiaccio ma dietro non ci sono temi più semplici”. Dopo aver affermato di diffidare dei giovanilismi, “in genere espressione di adulti che hanno paura di crescere”, Falabretti spiega che la questione educativa “chiede di stare accanto ai giovani. Un Sinodo che si occupa di loro ci deve aiutare a capire quali sono i loro sogni più profondi ma anche che cosa non funziona dentro di loro; l’educazione non è qualcosa di fisso scritto su tavole di marmo. Se non li ascoltiamo non sapremo dove andare”. I giovani, prosegue, “portano novità ma al tempo stesso smascherano le nostre fragilità. Dicono che non concepiscono una Chiesa senza preti ma li vogliono soprattutto come compagni di viaggio”. La Chiesa, assicura, “quando è riuscita a educare ci è riuscita perché lo ha fatto all’interno di contesti di relazione. Diversamente non è possibile. Occorre riprendere e ricostruire un tessuto di comunità”. Di qui l’auspicio conclusivo: “Spero che il Sinodo aiuti la Chiesa a costruire le condizioni migliori per rimanere in dialogo con i giovani”.

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