“Il pesce surgelato che troviamo nei nostri supermercati costa poco perché è pescato da persone il cui salario non vale niente”. Ad attirare l’attenzione sulla situazione dei pescatori nel mondo, che si trovano a lavorare in condizioni disumane e spesso finiscono nelle mani della criminalità organizzata, è stato padre Bruno Ciceri, delegato del Vaticano per l’Apostolato del Mare ed officiale del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, presentando oggi, in un “meeting point” svoltosi presso la Sala Stampa della Santa Sede, il XXIV Congresso mondiale dell’Apostolato del Mare “Caught in the net”, che si terrà a Kaohsiung (Taiwan) dal 1° al 7 ottobre e sarà dedicato alle tematiche inerenti alla pesca e alla tratta di esseri umani. Per chi ha in mano il commercio del pesce, “l’unica cosa su cui si può tagliare è sulla vita dei pescatori e sul loro stipendio”, la denuncia di padre Ciceri, che ha spiegato come nel mondo, e soprattutto nel Sud-est asiatico, i pescatori “vengono pagati pochissimo, anche 100 dollari al mese, e attorno a loro c’è tutto un sistema di sfruttamento” da parte degli armatori e dei “broker” ai quali costoro si affidano per cercare manovalanza. “Violazione dei loro diritti, abusi verbali e fisici”, le pratiche vergognose di cui i pescatori sono vittime: i pescherecci, oggi, rimangono per mesi in mezzo al mare, con le navi-frigo che arrivano a prelevare il pescato, “e quando la nave lascia il porto, il capitano diventa un dio assoluto a bordo”. “Se il peschereccio resta a terra, si perde una settimana di lavoro”, ha spiegato Ciceri ricordando che per i pescatori “non ci sono orari, si lavora anche fino a 18-20 ore di fila al giorno”. Senza contare gli incidenti che possono capitare e che mietono vittime, o la difficoltà a essere curati quando ci si ammala lontani dalla costa e non ci sono medicine. A fianco dei marittimi e dei pescatori, da quasi 100 anni – nel 2020 a Glasgow, dove è stato fondato, si celebrerà il centenario – c’è nella Chiesa l’Apostolato del Mare, un network di cappellani e volontari diffuso in oltre 250 porti di 55 Paesi del mondo. “L’anno scorso – ha reso noto Ciceri – abbiamo visitato circa 70mila navi: contando su ogni nave una media di 15 persone di equipaggio, abbiamo raggiunto quasi un milione di persone che vengono nei nostri porti, ma nessuno li vede”. “Salire su una nave è come entrare in una fabbrica”, ha raccontato il missionario scalabriniano: “Facciamo un po’ di tutto, dal provvedere al wi-fi se i marinai non possono scendere agli aiuti materiali e alla collaborazione con il sindacato quando a volte non vengono pagati”.

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