Ieri le chiese delle Filippine hanno suonato contemporaneamente le proprie campane in ricordo delle migliaia di persone che negli ultimi mesi hanno perso la vita nel Paese in circostanze violente. La Chiesa cattolica intende così anche mandare un messaggio forte e chiaro al governo e alla sua “guerra alla droga”, giudicata troppo sanguinosa: “Non possiamo accettare che la distruzione delle vite umane diventi qualcosa di normale. Non si può governare una nazione con le uccisioni”, ha spiegato il cardinale di Manila Antonio Tagle, nella lettera pastorale con cui ha invitato le parrocchie ad aderire a questa iniziativa. Nelle Filippine l’80 per cento della popolazione e’ di religione cattolica. L’istituzione ecclesiastica detiene da tempo un notevole peso politico, che ora cerca di sfruttare per sovvertire “il regno del terrore” – come lo hanno definito i vescovi – istituito dall’avvento, 15 mesi fa, del presidente Rodrigo Duterte. Quest’ultimo già dai tempi in cui era sindaco di Davao, era noto come il “giustiziere” per la sua rigida posizione verso il traffico di droga e i criminali comuni, tra le piaghe più gravi del paese. Ma secondo le associazioni dei familiari delle vittime e vari movimenti per i diritti umani, le forze di polizia fanno un uso eccessivo della forza. Molti hanno denunciato sparatorie in strada simili a vere e proprie esecuzioni, che non hanno lasciato scampo ai presunti spacciatori, impossibilitati ad avere un giusto processo. Altri denunciano omicidi avvenuti “in circostanze oscure”. “Nell’interesse dei nostri figli e dei più poveri, bisogna interrompere le uccisioni sistematiche e il regno del terrore”, l’appello del presidente della Conferenza episcopale filippina, l’arcivescovo Socrates Villegas. Le morti avrebbero riguardato infatti anche adolescenti e bambini, mentre alcune organizzazioni hanno avanzato la tesi che il governo stia appositamente prendendo di mira persone appartenenti alle fasce meno abbienti e disagiate.

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