DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 10 settembre.

Leggiamo nella prima lettura di questa domenica, tratta dal libro del profeta Ezechiele: «Mi fu rivolta questa parola del Signore: O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa di Israele».
Ancora, leggiamo nel brano tratto dal Vangelo secondo Matteo: «In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo».
C’è una responsabilità di cui il Signore ci investe, ieri come oggi, una responsabilità che non è giudizio, né condanna, né tantomeno esercizio di un potere, una responsabilità che deriva proprio dalla nostra fede, dal nostro essere alla sequela del Signore, come il profeta Ezechiele, come i discepoli a cui Gesù si rivolge nel brano evangelico: la responsabilità dell’ammonizione e della correzione del fratello.
Cosa vuol dire correzione fraterna? Vuol dire che l’amore cristiano chiede di essere vissuto all’interno della responsabilità per gli altri e per il mondo.
Dice il Signore: «Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te». Dio non ha di certo bisogno di guardiani, né di capri espiatori su cui scaricare colpe, responsabilità o quant’altro. Ma colui che è o vuole essere alla sequela di Cristo deve essere «debitore di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama ha adempiuto la Legge».
C’è un Dio, come leggiamo nel versetto alleluiatico, che «ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione».
Motivo della correzione fraterna non è, quindi, lo “sfizio” di mostrare agli altri i loro torti, in modo da far risaltare la nostra superiorità. Neppure quello di scaricarsi la coscienza in modo da poter dire “Te lo avevo detto!”. No, lo scopo è “guadagnare” il fratello, perché quel fratello lo amiamo.
Scrive Paolo ai Romani: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai e qualunque altro comandamento, si ricapitola in questa parola: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” […]: pienezza della Legge, infatti è la carità».
Il riconoscerci, noi stessi, amati da Dio, il riconoscerci, noi stessi, bisognosi della misericordia del Padre, ci aiuterà a maturare questa sensibilità nei confronti di ogni fratello: non pietismo ma esercizio di quell’amore che Dio ha riversato nella nostra vita e che siamo chiamati a far traboccare affinché sovrabbondi anche nella vita di coloro che ci camminano affianco nella storia di ogni giorno.

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