“È indispensabile superare il clericalismo che rende infantili i laici e impoverisce l’identità dei ministri ordinati”. Nella parte finale del suo discorso al Celam, il Papa ha auspicato “l’attuazione serena, responsabile, competente, lungimirante, articolata, consapevole, di un laicato cristiano che, in quanto credente, sia disposto a contribuire: nei processi di un autentico sviluppo umano, nel consolidamento della democrazia politica e sociale, nel superamento strutturale della povertà endemica, nella costruzione di una prosperità inclusiva fondata su riforme durature e capaci di tutelare il bene sociale, nel superare le disuguaglianze e salvaguardare la stabilità, nel delineare modelli di sviluppo economico sostenibili che rispettino la natura e il vero futuro dell’uomo – che non si esaurisce nel consumismo illimitato –, come pure nel rifiuto della violenza e nella difesa della pace”. “La speranza deve sempre vedere il mondo con gli occhi dei poveri e a partire dalla situazione dei poveri”, ha affermato Francesco, che subito dopo ha ammonito: “La ricchezza autosufficiente spesso priva la mente umana della capacità di vedere, sia la realtà del deserto sia le oasi che vi sono nascoste. Propone risposte da manuale e ripete certezze da talkshow; balbetta la proiezione di sé stessa, vuota, senza avvicinarsi minimamente alla realtà”. “Se vogliamo servire, come Celam, la nostra America Latina, dobbiamo farlo con passione”, la consegna finale del Papa: “Oggi c’è bisogno di passione. Mettere il cuore in tutto quello che facciamo. Passione del giovane innamorato e dell’anziano saggio, passione che trasforma le idee in utopie praticabili, passione nel lavoro delle nostre mani, passione che ci trasforma in incessanti pellegrini nelle nostre Chiese” come san Toribio di Mogrovejo, che “non si installò nella sua sede: di 24 anni di episcopato, 18 li passò nei paesi della sua diocesi”.

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