Tra i rifugiati siriani in Giordania “c’è un record senza precedenti di matrimoni precoci”: era inferiore al 10% dei nuovi matrimoni prima dell’inizio del conflitto in Siria sette anni fa; ora la percentuale si è alzata al 35-36%. Lo ha detto il rappresentante dell’Unicef in Giordania Robert Jenkins, incontrando oggi la stampa a Roma. In Giordania sono ufficialmente registrati all’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) circa 660.000 rifugiati siriani, ma si stima siano oltre 1 milione e 300 mila in tutto il Paese. “Stiamo entrando nel settimo anno della crisi siriana – ha ricordato – e più perdura la situazione più aumentano le vulnerabilità tra i rifugiati, soprattutto i bambini, i più indifesi”. L’Unicef registra infatti, oltre ai matrimoni precoci, anche l’aumento del lavoro minorile, con alti tassi di bambini a cui è preclusa la scuola. Su 212.000 bambini in età scolare registrati all’Unhcr il 41% non frequenta la scuola. L’Unicef ha stabilito un accordo con il governo giordano, molto disponibile e collaborativo, “perché tutti i bambini abbiano accesso alla scuola pubblica”, ha spiegato Jenkins. Sono circa 3.800 le scuole in Giordania. Oggi è partita una campagna “porta a porta” per convincere le famiglie a portare i bambini a scuola. Altri due settori strategici sono l’acqua e la sanità. “La Giordania è il secondo Paese al mondo deprivato di risorse idriche – ha detto – e con l’aumento della popolazione per la presenza di rifugiati (in alcuni villaggi si è passati da 3.000 a 12.000 persone) la situazione peggiora. Stiamo sviluppando iniziative insieme al Ministero delle risorse idriche per un uso più razionale dell’acqua e per migliorare i sistemi di trattamento nelle aree rurali”. Nel famoso campo di Za’atari a 15 km dalla Siria, che accoglie 80.000 rifugiati (ma negli anni ne sono passati 430.000), “oggi non ci sono più nuovi arrivi perché i confini sono chiusi – ha precisato Jenkins – ma c’è una pressione crescente a causa degli spostamenti interni.  Le persone non ce la fanno più a mantenersi e a pagare l’affitto degli alloggi e allora migrano verso i campi, dove le organizzazioni internazionali forniscono servizi”.

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