M.Michela Nicolais

Nato nel 1947, il Centro di azione liturgica (Cal) ha contribuito a preparare il terreno al Concilio Vaticano II in modo speciale attraverso le Settimane liturgiche nazionali (Sln). La prossima, che si tiene dal 21 al 24 agosto a Roma, sarà l’occasione per rinnovare l’impegno al servizio della Chiesa conciliare e ribadire la centralità della liturgia nella vita di fede. Ne abbiamo parlato con mons. Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta e presidente del Cal.

“Liturgia viva per una Chiesa viva”, recita il tema del vostro convegno. L’aggettivo, ripetuto due volte, corrisponde allo “stato di salute” delle nostre liturgie eucaristiche?
La ripetizione dell’aggettivo vuole da un lato ribadire un tratto fondamentale della liturgia che la riforma scaturita dal Concilio Vaticano II ha evidenziato con forza: il celebrare è, per la comunità cristiana, attingere alla sorgente da cui scaturisce la grazia che dà vita alla Chiesa illuminando e sostenendo i suoi gesti, le sue parole e le sue opere e, parimenti, portare al suo culmine il cammino di ogni fedele che partendo dalla concretezza e problematicità di ogni giorno, tende alla misura alta della vita che è la santità. Al tempo stesso si vuole ribadire che è necessario non abbassare la guardia per evitare che ignoranza o superficialità provochino un calo di consapevolezza e quindi di quella tensione partecipativa che rende fecondo il celebrare cristiano. Un modo di celebrare stanco, minimalista e poco coinvolgente, contribuisce alla sterilità di una Chiesa chiamata ad “uscire”.

L’Evangelii gaudium chiede una liturgia “in uscita”: liturgia, oggi, è anche sinonimo di comunicazione?
Quando si parla di liturgia si parla di comunicazione sempre perché è proprio nell’atto celebrativo che avviene quella comunicazione fondamentale fra un Dio che dialoga e si dona e un popolo che ascolta, offre, loda, invoca… La liturgia attiva poi come conseguenza indispensabile una comunicazione fraterna e missionaria che dà sostanza alla vita di una Chiesa in uscita. La Pasqua che si celebra in ogni atto liturgico è sempre comunicazione di vita nuova che chiama a vita nuova. E dal Dio misericordioso che nella liturgia fa sperimentare la sua opera, scaturisce l’umiltà della Chiesa che esce con rispetto, attenzione, amore verso il mondo a cui è chiamata ad annunciare la buona notizia.

Cosa significa, per il Cal, fare memoria di questi 70 anni di storia?
In questi 70 anni il Centro di azione liturgica, frutto del movimento liturgico, è stato particolarmente presente e attivo nella vita della Chiesa italiana. Il Cal ha preparato il terreno alla riforma conciliare e in modo speciale, attraverso le Settimane liturgiche nazionali, ha anche guidato passo dopo passo la neonata riforma accompagnando la pubblicazione dei diversi rituali e offrendo di volta in volta i fondamenti storici, teologici e liturgici della riforma conciliare per una loro corretta e fruttuosa applicazione pastorale. A 70 anni dalla sua nascita, con questa 68ª Sln, il Cal intende riaffermare la sua identità e la sua missione con lo stesso entusiasmo dei suoi inizi e rinnovare il suo impegno al servizio della Chiesa conciliare e, in particolare, di quella riforma liturgica che mira ad impedire che “la vita della Chiesa si trasformi in un pezzo da museo e in possesso di pochi” (EG 95). Una liturgia viva per una Chiesa viva, in grado di dire e comunicare il mistero di Dio all’uomo di oggi.

Le Messe mattutine a Santa Marta hanno reso la liturgia, e in particolare l’omelia, una forma di “magistero quotidiano” di Papa Francesco. Cosa possono insegnare ai nostri parroci?
Sicuramente il Santo Padre attraverso la Messa a Santa Marta ci offre un magistero che sostiene e accompagna il cammino quotidiano di ogni credente. Al tempo stesso però, il Papa sta richiamando il popolo di Dio a non dimenticare che la vita quotidiana per un credente deve essere illuminata dalla Parola di Dio e nutrita dalla presenza eucaristica del Signore. In particolare, è un modo “feriale” con cui si richiama anche il necessario legame fra Parola di Dio e vita comune che proprio l’omelia deve richiamare e facilitare. E se da un lato questo è un modo per aiutare tutti i fedeli a celebrare più consapevolmente e fruttuosamente la liturgia, dall’altro è un semplice ed efficace richiamo anche ai ministri a preparare e offrire l’omelia nelle modalità e misure più corrette e, quindi, anche con quella necessaria attenzione al testo biblico e al popolo di Dio che è presente in una determinata assemblea.

Un tema centrale, nelle celebrazioni liturgiche, è la partecipazione dei fedeli. Quale è, in particolare nella Messa domenicale, il rapporto tra i fedeli e il sacerdote?
Bisogna partire dal fatto che l’assemblea cristiana, soggetto della celebrazione, è tutta ministeriale. Nella Sacrosanctum Concilium, al n. 26, si afferma: “Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa”. In queste celebrazioni, ammonisce ancora SC al n. 28, “ciascuno, ministro o fedele, svolgendo il proprio ufficio, compia soltanto e tutto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza”. Dato che l’assemblea cultuale è manifestazione e anche realizzazione della Chiesa, il rito cristiano è celebrato dai partecipanti nella molteplicità dei ruoli e specificità delle funzioni che ognuno esercita in essa. La Chiesa, infatti, non è una massa amorfa di persone, ma un corpo con le sue membra ben articolate e connesse; non è un ammasso di sassi, ma un tempio ben costruito, dove ogni pietra o mattone occupa il suo posto e svolge la sua funzione. La stessa parola “partecipazione”, dal latino partem capere, significa prendere parte, aver una parte in qualcosa, intervenire, aderire, agire attivamente in comune con qualcuno. La liturgia infatti non è una fictio (come il teatro), ma una actio: in essa accade qualcosa in cui il fedele è essenzialmente coinvolto. Fra i fedeli e i sacerdoti, quindi, riconoscimento e rispetto nella consapevolezza che solo nell’armonia dei ruoli la liturgia manifesta la sua bellezza.

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