Andrea Dammacco

Un’altra estate calda è tornata, un’altra estate che vede le campagne terreno di lotta per migliaia di nuovi schiavi, per lo più migranti irregolari rastrellati dai cosiddetti caporali. A loro, agli schiavi, vengono negati i diritti basilari della dignità umana. Ma è anche un’estate diversa, nella quale risuona forte come non mai il “No” agli sfruttatori e ai sistemi criminali di lavoro da parte degli sfruttati e delle cooperative e associazioni che lottano per loro. Come la No Cap di Yvan Sagnet, ingegnere camerunense di 31 anni, protagonista sei anni fa, a Nardò in provincia di Lecce, della grande rivolta contro i caporali di Masseria Boncuri. Durata quasi due mesi è riuscita a dare, per la prima volta, un’eco nazionale allo sfruttamento a cui sono sottoposti gli immigrati e i poveri delle nostre città. Dopo quella rivolta Yvan ha lasciato i campi e ha deciso di lottare per i diritti degli sfruttati, per aiutarli a denunciare gli sfruttatori e proteggerli, per contribuire allo sviluppo e alla promozione di un nuovo modello di lavoro che incoraggi l’impresa etica e sana e scoraggi ogni forma di caporalato.

Dalla protesta alla proposta. “C’è stato un lavoro notevole in questi anni di denuncia che sta producendo risultati – dice Yvan –. Le decine di arresti e le numerose operazioni di polizia di questi mesi sono il frutto di un lavoro fatto a monte. Denunce che hanno portato alla legge contro il caporalato”. C’è però ancora tanto da fare soprattutto in tema di prevenzione: “Questa legge è repressiva. Servono sistemi di controllo, una riforma dei centri dell’ispettorato del lavoro e una riforma del mercato del lavoro. E dobbiamo continuare a denunciare. Se manteniamo la tensione alta rispetto a questo sistema, siamo sicuri che nell’arco di pochi anni potremmo avere risultati notevoli”. Una prevenzione che deriva soprattutto dal dare la possibilità alle vittime di poter denunciare i soprusi, tutelarle e non lasciarle sole dopo la denuncia. “E parliamo soprattutto di migranti che sono la parte più vulnerabile dei lavoratori, perché per la maggior parte clandestini. Per fortuna per loro ci sono gli articoli 18 e 19 della legge 198 che consente di dare il permesso di soggiorno al lavoratore che denuncia lo sfruttamento”. Le associazioni come quella di Yvan, in collaborazione con iniziative come il Progetto Presidio della Caritas, permettono ai più deboli di poter rivendicare i propri diritti ed essere protetti dalle ritorsioni dei caporali colpiti.

Produzione Bio e produzione etica. Secondo Yvan e l’associazione No Cap, non si può però parlare di sfruttamento del lavoro senza discutere di etica del mercato e del lavoro. “I piccoli produttori devono competere con la grande distribuzione. Questo li introduce in un meccanismo dello sfruttamento così da aumentare il margine di profitto sulle vendite – ricorda Yvan -. Abbiamo portato una proposta in Parlamento per introdurre una norma sulla certificazione etica della filiera, che però non è stata presa in considerazione. In Italia esistono certificazioni di qualità Bio dei prodotti ma non una certificazione di un lavoro svolto in condizioni ottimali”. Dove però non arriva la legge, si muovono i cittadini. Così No Cap ha avviato una rivoluzione dal basso costruendo le basi per una certificazione internazionale che dia la garanzia di un prodotto di qualità lavorato nel rispetto dell’ambiente e nel rispetto dei lavoratori. “I prodotti avranno il marchio No Cap, garanzia di una tracciabilità delle filiere virtuose. Porteremo sul mercato questi prodotti grazie alle tante realtà sparse in Italia che hanno invertito la rotta a favore di un mercato equosolidale. È un processo culturale che può funzionare, che determina un’autocoscienza della gente. Se questa battaglia culturale la vinciamo, daremo una risposta a questa brutta piaga senza doverci affidare all’aiuto dello Stato. È un lavoro che parte dal basso e che mette tutti i cittadini al centro della lotta. Così tutti i nostri attivisti passeranno in maniera attiva dalla protesta alla proposta”.

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