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I “grandi” ad Amburgo, bilancio in chiaroscuro

Di Gianni Borsa

Non sempre il G20 produce risultati eclatanti, “ma sarebbe peggio se non ci fosse”. Antonio Villafranca è coordinatore dell’area ricerca dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano: l’appuntamento di Amburgo del 7 e dell’8 luglio è stato seguito con attenzione nella sede di Palazzo Clerici. Un commento sui risultati complessivi? “Dipende dalle aspettative – risponde lo studioso –. Considerando la complessità della situazione internazionale, le molteplici sfide in atto, i conflitti, le migrazioni, le differenti posizioni politiche anche tra alleati come Europa e Stati Uniti, ci si doveva attendere risultati di compromesso. E così è stato. In qualche caso, poi, si tratta di compromessi al ribasso”.

Partiamo dal commercio, uno degli argomenti in agenda ad Amburgo.
In questo caso il fatto di essere approdati a una dichiarazione congiunta che affronta le pratiche protezionistiche è già da considerarsi un passo significativo. Benché, su richiesta statunitense, si è certificato che talune barriere possono rimanere. Una scelta dietro la quale si celano interessi giganteschi e grandi squilibri, come ad esempio la sovraproduzione di acciaio. Ma potremmo citare anche l’eccessivo surplus delle partite correnti tedesche.

Forse il tema maggiormente dibattuto è stato il cambiamento climatico. Su questo fronte quale risultato emerge?
Qui si sapeva quale piega avrebbe preso il summit. Tutti i partecipanti hanno ribadito che proseguiranno nella strada definita con gli Accordi di Parigi, tranne gli Stati Uniti, che hanno messo nero su bianco il loro passo indietro riguardo gli impegni per la lotta al cambiamento climatico.

Trump ad Amburgo ha sostenuto una posizione di principio, apparendo però ostaggio delle promesse elettorali.

È chiaro che questa decisione è pesante, in quanto gli Stati Uniti sono tra i maggiori produttori di Co2 al mondo: il ritiro di Washington da quanto convenuto a Parigi è un segnale fortemente negativo. Peraltro osserviamo un altro aspetto…

Quale?
La posizione isolata degli Stati Uniti in questa materia. Il disimpegno di Trump rimane un’eccezione. Sembra che ci sia minore capacità di aggregare consenso, traspare una leadership che perde charme.

Capitolo migrazioni.
Premetterei che il G20 non è il luogo ideale per affrontare il problema migratorio. Cioè,se ne è discusso come fenomeno globale, ma non ci si poteva attendere una risposta alle urgenze che l’Italia sta affrontando.Anche la proposta del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, di definire delle sanzioni contro la tratta, è di competenza delle Nazioni Unite, non del G20. Tanto è vero che i venti leader non ne hanno parlato: la proposta si era già arenata a livello di sherpa, bloccata da Russia e Cina.

Fra la riunione Ue di Tallinn e il G20 di Amburgo non sembrano delinearsi risposte sul problema migratorio, posto con fermezza dall’Italia.
È vero, perché ogni Stato cerca di scaricare l’onere su qualcun altro. E in questo caso questo “qualcun altro” è l’Italia, almeno per quanto riguarda le migrazioni dall’Africa verso l’Europa attraverso la Libia.

I capi di Stato e di governo sanno che le migrazioni sono un tema che fa perdere voti.

Oppure li fa guadagnare se lo cavalchi in una certa direzione.

Cosa ne pensa del faccia a faccia fra Trump e Putin?
Un dialogo dai molti significati. A partire dalla durata: oltre due ore, quando solitamente gli incontri bilaterali che si svolgono a un G20 durano più o meno mezz’ora. I due presidenti hanno forse voluto segnalare il fatto che sono anzitutto Stati Uniti e Russia che guidano le grandi decisioni a livello mondiale. E i temi da dirimere non mancavano: dalla Siria alla Corea del Nord, dall’economia al clima, fino al Russiagate… Di Putin abbiamo sperimentato, a suo modo, un certo “realismo” nelle relazioni politiche, almeno si sa cosa vuole; meno chiaro è dove voglia andare a parare Trump.

Di fronte al “cambiamento d’epoca” che stiamo vivendo si invoca spesso una “governance globale”. Stiamo procedendo in questa direzione oppure no?
Il G20, come estensione del G7 e del G8, in fondo è stato concepito per questo. Ricorderei che dal 2008 in avanti,i Paesi che ne fanno parte hanno assunto 1.900 impegni concreti per dar corso alle dichiarazioni di principio e ai grande obiettivi convenuti insieme:il 70% di questi impegni è stato raggiunto. In alcuni ambiti si sono avuti minori risultati, come ad esempio per quanto riguarda la parità di genere; in altri, i risultati sono maggiori come nel campo della stabilità finanziaria o della lotta alla povertà. In quest’ultimo caso segnalerei che la presidenza tedesca si è spesa con decisione, mettendo particolarmente a fuoco la realtà africana, volendo fra l’altro accrescere la cooperazione tra investimenti pubblici e privati. La prossima presidenza del G20 toccherà all’Argentina ed è facile prevedere che porrà l’accento altrove. Per concludere, direi che il G20 (che rappresenta i due terzi della popolazione mondiale e l’80% del Pil) ha la sua importanza; semmai si tratta di rivedere e migliorare la scelta dei temi da porre sul tavolo di questi summit e gli obiettivi fondamentali da perseguire insieme.