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Monache Clarisse: “E’ Gesù stesso il primo dei piccoli, dei poveri, dei semplici, dei miti”

DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 8 luglio.

«In quel tempo Gesù disse: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”».
I piccoli: gli ultimi, i poveri, coloro che vivono una situazione di sofferenza fisica e spirituale, coloro che non si sentono degli arrivati, ma che sentono sempre il bisogno di capire, di mettersi ancora in cammino per cercare la verità. Coloro che vengono sfruttati e sottomessi.
I piccoli: coloro che Dio rende destinatari privilegiati del suo annuncio e della sua Parola di salvezza.
I piccoli: coloro che, pur non possedendo tutta l’erudizione della dottrina che avevano i farisei, gli scribi e i dottori della legge, riescono, più di questi, a cogliere la verità, a riconoscere in Gesù il Figlio di Dio, il Messia atteso.
I piccoli, amati e preferiti da Gesù, coloro che appartengono alla logica di un Dio per il quale non bisogna possedere un sapere scientifico per accogliere il suo Regno, ma quella “scienza” che è dono dello Spirito, che è capacità di capire interiormente la verità col desiderio di metterla in pratica.
Ma perché questi piccoli dovrebbero seguire il Signore? Perché è l’unico in grado di risolvere qualsiasi problema?
Scrive il profeta Zaccaria: «Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina». E’ Gesù stesso il primo dei piccoli, dei poveri, dei semplici, dei miti.
E il suo desiderio è starci vicino, starci accanto, farsi nostro prossimo.
«Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita».
Gesù non è un Maestro che dall’alto della sua cattedra insegna, ma è quel Fratello che ha conosciuto su se stesso la sofferenza e, per questo, ci può compatire, può “patire con” noi.
E prendere il suo giogo, la sua legge, non è altro che l’invito a prendere su di noi il suo amore e farne “vangelo” di vita, per la nostra vita e per la vita di chi ci è accanto.