Di Stefano De Martis

Palazzo Montecitorio, Sala della Regina. Davanti al presidente Mattarella e a molte altre autorità, Raffaele Cantone legge con voce pacata il testo che presenta la relazione annuale dell’Anac, l’organismo che il magistrato famoso per le sue inchieste sulla camorra presiede dal 2014. È un rapporto di metà mandato – la scadenza è fissata per il 2020 – e cade in un contesto particolare perché l’Autorità nazionale anticorruzione, “dismessi gli abiti della novità”, per usare le parole dello stesso Cantone, adesso è un realtà ben riconoscibile e molto nota anche all’opinione pubblica. Una notorietà, sottolinea con realismo il presidente dell’Anac, “certamente figlia della centralità che continua ad avere nel dibattito pubblico la tematica della corruzione, anche e soprattutto perché l’onda lunga degli scandali e delle indagini giudiziarie non sembra arrestarsi”.

Nell’intervento di Cantone non ci sono molti numeri (chi volesse approfondire trova sul sito dell’Anac le 328 pagine della relazione) ma il primo dato in evidenza riguarda proprio l’attività di vigilanza contro la corruzione, la principale ma non unica competenza dell’Autorità, che si occupa anche di appalti e trasparenza.

“Lo scorso anno – dice Cantone – sono state avviate 845 istruttorie, soprattutto nei confronti di comuni, strutture sanitarie e società pubbliche, mentre pochissime, 12, sono state le sanzioni irrogate”.

A questo punto ci si sarebbe aspettati un lamento, una qualche denuncia, un moto di delusione. Invece il presidente dell’Anac sottolinea il dato con soddisfazione: è la conferma che le sanzioni vengono utilizzate come extrema ratio, ma anche “dell’elevato livello di adeguamento alle richieste dell’Autorità”. È questo l’approccio innovativo dell’Anac che naturalmente non sostituisce la repressione dei reati (quando ci sono gli estremi, le carte finiscono dritte dritte sui tavoli delle procure o della giustizia amministrativa) ma parte dal presupposto che non si può pensare di combattere la corruzione soltanto per via penale e quindi a valle del fenomeno, ma bisogna prevenire e accompagnare perché si ripristini la legalità eventualmente violata. Cantone registra con favore il successo che stanno avendo presso le amministrazioni locali i “protocolli di vigilanza collaborativa” e narra quasi come un apologo la vicenda di una Asl della “sua” regione, la Campania. “Si è partiti da una verifica ispettiva – racconta – effettuata a seguito di notizie relative a gravi illeciti commessi. Il commissario straordinario della Asl ha accolto positivamente i rilievi e, con la collaborazione dei nostri uffici, ha adottato misure concrete e virtuose: in particolare, ha effettuato la rotazione dei direttori dei distretti, ha sostituito quasi tutti i componenti delle commissioni competenti al rilascio delle autorizzazioni e ha pubblicato sul proprio sito tutti gli atti di interesse pubblico”.

A fronte di questo processo dalle potenzialità positive, c’è un rischio da evitare e cioè che alla fine passi “l’idea che gli appalti si possano fare solo con il bollino dell’Anac”. Su questo Cantone è perentorio: l’Autorità “non si può sostituire alle scelte discrezionali dell’amministrazione”.

La politica, insomma, si assuma le proprie responsabilità.

Semmai, la preoccupazione costante dell’Anac dev’essere quella di operare una prevenzione sempre più efficace ma “senza pregiudicare le esigenze di efficienza e funzionalità delle amministrazioni e del mercato dei contratti pubblici”.

Il settore in cui Cantone denuncia le maggiori resistenze è quello della trasparenza nella pubblica amministrazione. Contro l’obbligo di pubblicare compensi e spese, c’è stata “la rivolta di una parte della dirigenza” e, analogamente, anche per gli incarichi politici si è registrato un 40% di casi di mancato o solo parziale adeguamento dopo le sollecitazioni dell’Anac. A dimostrazione di come “la trasparenza, al di là delle proclamazioni di principio, fatichi a essere realmente accettata”.

Viceversa aumentano coloro che dall’interno delle amministrazioni segnalano situazioni irregolari di cui vengono a conoscenza. Una pratica denominata whistleblowing (è stato indetto un concorso nelle scuole per inventare un termine italiano corrispondente), non ancora del tutto ben compresa ma che sta prendendo piede nonostante la mancanza di una tutela giuridica “più coraggiosa”:

nel 2015 le segnalazioni erano state 235, lo scorso anno 252 e nei primi cinque mesi del 2017 sono già oltre 260.

Peraltro, osserva ancora Cantone, “nessuno si illude che i piccoli ma importanti risultati ottenuti, per quanto significativi, possano giustificare eccessi di ottimismo”, anche perché “gli effetti positivi sul piano della lotta alla corruzione si potranno vedere solo nel medio e lungo periodo, sempre che la strada intrapresa venga perseguita con ancora maggiore impegno da tutti gli attori istituzionali”. Una sottolineatura che sembra contenere una vena di preoccupazione per il futuro, a cui però fa da contrappeso la consapevolezza di “una evidente e benefica rivoluzione culturale” nell’affrontare il fenomeno della corruzione. E qui Cantone ricorda “la posizione netta e reiterata” di papa Francesco e cita il presidente Mattarella sulla corruzione come “furto di futuro e di democrazia”.

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